La prima capacità di un divulgatore è di farsi leggere. E fin qui si direbbe una sconcertante banalità, se non fosse che si leggono in continuazione autori ed influencer di Facebook che se vanno controcorrente rispetto ai loro lettori e non vengono seguiti, li accusano di essere scemi, ignoranti, e via offendendo. Si tratta naturalmente di una strategia idiota perché se un negoziante offende i suoi clienti potenziali e quelli che ha, prima o poi chiuderà: nessuno entra in una salumeria dove il cassiere gli dice "Ehi brutto idiota. Compra il mio prosciutto, altrimenti sei un imbecille". Se dunque l'antifascismo si limitasse a raccontare la storia del fascismo per quel che è stata, non oscurando le numerose luci ma giungendo inevitabilmente alla conclusione di aver portato l'Italia alla sconfitta, si farebbe buona divulgazione. Trasformare invece l'antifascismo in un obbligo giuridico e morale, in un prosciutto che va comprato assolutamente, altrimenti o si viene cacciati da tutti i negozi o addirittura si viene ammazzati, provoca un'inevitabile conseguenza: la fioritura di un gruppo di persone che, se non altro per una sorta di orgoglio personale, non ci stanno a farsi dettare la lista della spesa.

L'antifascismo non è privo di giustificazioni storiche come non lo è nemmeno il neofascismo, e bisognerebbe finalmente dire, a tal proposito, quel che fu la Resistenza: non la lotta del Bene contro il Male, ma una guerra civile tra italiani, nata calda e che prosegue oggi fredda, con una genesi molto semplice: la seconda guerra mondiale. Così mentre nel mondo si scatenava l'inferno, in Italia si avviava una resa dei conti tra coloro che facevano parte del sistema ufficiale e l'area del dissenso. Fin quando molti, che non a caso accolsero con grida di giubilo la dichiarazione di Mussolini dell'ingresso dell'Italia in guerra, pensarono che sarebbe stata facilmente vinta, il fascismo godeva di un consenso pressoché totale. Quando il vento cominciò a girare contro le forze dell'Asse, molti italiani, messi di fronte alla prospettiva o di combattere o di finire deportati nel Reich, si diedero alla macchia costituendo quella che, celebrata come Resistenza, non fu nient'altro che la lotta di persone ormai private di ogni elementare diritto civile e sociale, contro un regime che puzzava di cadavere e che si trasformò, specialmente con Salò, in una resa dei conti tra italiani. E tuttavia questa guerra civile sarebbe rimasta lettera morta se americani e inglesi non avessero dato un loro supporto. Come si vede, dunque, l'antifascismo non ha niente di ideologico, non è figlio di una comune visione del mondo e dunque, in quanto tale, è un vaccino che funziona fintanto che non muta il virus. E' ovvio che dopo ottant'anni di retorica antifascista, se tornasse un signore con un accento romagnolo, pelato, vestito di nero e si mettesse a parlare con voce stentorea, tutti quanti si allarmerebbero. Ma gli anni della pandemia ci hanno insegnato che è possibile ricreare una variante che, pur essendo in apparenza diversa, contiene le stesse sequenze. E contro cui l'antifascismo non serve assolutamente a nulla. Perché non è quello il vaccino di cui si ha bisogno. I virus del totalitarismo hanno dei filamenti comuni, individuando i quali si potrà davvero vaccinare l’umanità da ogni dittatura. E il filamento che accomuna tutti i totalitarismi, fascisti, comunisti, sanitari, progressisti, in generale qualsiasi tirannia miri a sottomettere la cittadinanza, è la visione dello stato padre dei suoi cittadini. Col risultato che spesso si trasforma in padrone o padrino. I sintomi dei virus appartenenti alla famiglia del coronavirus e dunque alla famiglia dei tirannovirus, sono abbastanza simili: statalismo esasperato, oligarchismo travestito da liberismo, imposizione di una neolingua, ministeri della verità più o meno ufficiali, criminalizzazione del dissenso, sterilizzazione del pensiero critico, l’applicazione dei diritti da applicare solo a chi aderisce acriticamente alla narrazione dominante e dei doveri solo a chi conserva una propria autonomia di pensiero.

Senza comprenderli, ogni paese si palleggerà sempre tra un totalitarismo e l'altro, oscillando da un padrone all’altro senza liberarsi dall'ansia di doverne avere uno. Il filamento su cui si potrà strutturare il vaccino risiede nella comprensione di un principio in fondo banalissimo: non esiste vera democrazia e libertà se non si vaccinano i cittadini all’idea dello stato protettore, rassegnandosi dunque ad uno stato minimo indispensabile e raggiungendo quella maturità che permetta ad un individuo di saper prendersi cura di se stesso. E di capire che, come con i mafiosi, più si ha bisogno di protezione, più il mafioso alzerà il prezzo.
Basterebbe questo per chiudere ogni polemica e considerare il 25 Aprile per quel che è: una "festa" divisiva oltre che inutile. Perché non esiste vaccino contro la tirannia se non assumendosi la responsabilità della propria libertà. Capire che la libertà richiede anzitutto uomini liberi da ogni stato padre che, in ogni sua declinazione, finisce per diventare un insopportabile padrone e un soffocante padrino. In sintesi, la vera proteina spike è liberarci di quel coronavirus che è il culto del Leviatano. Di cui il fascismo è stata solo una delle numerose varianti. A dirla tutta, neanche la più pericolosa. La vignetta dell'articolo dice che il 25 Aprile è il vaccino che facciamo ogni anno contro il fascismo. Infatti, come i vaccini di moda oggi, non solo non funziona ma sta provocando una recidiva della malattia.

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L'umanità, attraverso i millenni ed i continenti, credo abbia provato tutte le forme di governo. Tutte quelle idealizzate. Ce n'è mai stata una che non abbia prodotto dissidenti e malcontento?
Esiste una forma di governo che accontenti tutti?
Sulla carta, alcune mi piacciono più di altre.
Ma sulla carta. Probabilmente se le "provassi", non mi piacerebbero più. Non lo so.
So che oggi io non ho niente da festeggiare.
 

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Franco Marino
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