Un dilemma finora inesplorato è "cosa faccio se l'Italia entra in guerra? Vado a combattere o mi do alla latitanza?". In altri tempi la risposta sarebbe stata scontata. E se per qualcuno non lo fosse stato, ci sarebbe stato il reato di diserzione a ricordarglielo. Ma dopo ottant'anni di pace che ci hanno disabituati alla prospettiva di una guerra in casa, la querelle ucraina ci riporta brutalmente ad un'attualità da molti ritenuta sepolta nell'anacronismo. D'altronde, c'è poco da sacramentare. Se la NATO - e l'Italia purtroppo ne fa parte - decide che bisogna mettere i proverbiali stivaloni in Ucraina, anche a noi italiani spetterà andarci. E non essendo più giovanissimo ma neanche vecchio al punto di non essere arruolabile, toccherebbe anche a me. A quel punto si porrà un dilemma molto simile a quello che già vissero i nostri nonni durante la seconda guerra mondiale: vado a combattere per il mio paese o mi do alla latitanza e costituisco una resistenza?
In generale, l'antimilitarismo e l'idea che una guerra sia sempre sbagliata, sono sciocchezze: a chi oggi trova un retaggio del passato morire per la patria, bisognerebbe sventolare la Shoah e dunque fargli presente cosa accade quando non si ha un focolare presso cui rifugiarsi, essendo esposti all'arroganza e alla prepotenza dei padroni di casa presso i quali siamo accampati. Morire per la patria, se quella è davvero una patria, è un obbligo morale esattamente come lo è morire per i propri cari. Il problema è che bisogna capire se è una patria che andiamo a difendere oppure un clan di criminali che non ha a cuore le sorti dell'Italia. La questione potrebbe sembrare di lana caprina ma non lo è affatto.
Oggi cosa vuol dire combattere per l'Italia? Questa domanda me la sono posta quando la pandemia ha fatto emergere due tipologie di umanità che parlavano italiano. Nel biennio che va dal 2020 al 2022, mi sono reso conto di odiare a morte l'umanità che ha applaudito a tutte le oscenità a cui abbiamo assistito in questi anni. Ho odiato una parte di italiani così ampia al punto che ad un certo momento - questo lo sa chiunque abbia visto da vicino la mia rabbia - dopo aver visto parenti di persone a me care passare le pene dell'inferno e in qualche caso rimetterci le penne per aver semplicemente esercitato il diritto di non vaccinarsi, ho persino pensato di creare un movimento terroristico, facendo una mappa di tutte le persone che avrei voluto ammazzare; e al punto che mi sono dovuto chiedere, mentre il progetto de La Grande Italia era in gestazione, se questo nome così chiaramente ancorato ad una nazione con un così alto numero di persone che odio, fosse appropriato. Mi sono chiesto: ma fai che questa Italia io l'abbia sopravvalutata, che io mi sia messo ad amare qualcosa che in realtà andrebbe odiato e in realtà la vera patria è un'altra. Sono infine giunto ad una conclusione: l'Italia come famiglia c'è, ma vive in una casa espropriata da una famiglia che non ha nulla a che fare con la nostra, ma che si firma e si presenta col nostro cognome. Un po' come se io andassi ad Arcore, occupassi quell'enorme villa e mi firmassi Francesco Berlusconi. Certamente godrei dei vantaggi di un cognome così importante, ma chi è legato alla storia di Berlusconi giustamente riterrebbe ridicolo combattere per il berlusconismo, dal momento che io in realtà non faccio Berlusconi di cognome.
Fuor di metafora, oggi, combattere per l'Italia significa combattere non per l'italianità, per un'idea di patria, quanto per un paese, gli Stati Uniti, che ottant'anni ha vinto una guerra e che, come era logico e ovvio che fosse, si è impadronito di tutta l'Europa Occidentale, fingendo di non toccare le sovranità locali. Da ottant'anni, i governi non sono altro che protettorati americani il cui compito è servire la madrepatria occulta, attraverso una sottomissione pressoché totale sul piano militare, economico e culturale. Fin quando un blocco geopolitico forte si contrapponeva agli Stati Uniti costringendoli a dare all'Europa il meglio di sé, coprendosi di debiti, noi abbiamo vissuto nel benessere e nella pace. Oggi che quel blocco non c'è più, in un mondo multipolare nel quale nessuno regala nulla, gli Stati Uniti hanno deciso di tirare i remi in barca, cercando di arraffare tutto quel che possono dai paesi europei, obesi, incapaci di difendersi e di gestirsi.
La guerra in Ucraina non è che una parte del conto presentato dagli americani all'Europa, il cui scopo è quello di esaurire le scorte delle armi e delle economie europee. Di conseguenza, io non andrei a combattere per la mia patria ma per gli interessi di un paese che non mi appartiene. Non è per gli interessi del nostro paese che è nata questa guerra, ma unicamente per gli interessi americani. Quando Biden ha detto, in mondovisione, che l'Europa è un prezzo da pagare, qualsiasi persona dotata di un sano raziocinio avrà drizzato preoccupato le antenne e si sarà chiesta "Cosa vuol dire tutto questo?".
Dunque la mia risposta è molto chiara: se si entrasse in guerra, io diserterò, assumendomene tutte le responsabilità del caso. Amo l'Italia come nazione ma non amo chi sta abusivamente occupando il paese, che forse parlerà italiano, magari mangerà la pasta e la pizza, ma che di italiano non ha nulla. Amo alcuni italiani, quelli che, come me, hanno resistito a tanti anni di bugie. Loro sono miei fratelli e per loro, sì, darei la mia vita. Ed è forse questo il punto che molti ignorano: lo Stato non c'entra nulla con la patria. La patria è come una grande famiglia allargata che si ritrova in uno stesso focolare, che ha gli stessi interessi, pur nella diversità generale di vedute. Lo Stato, viceversa, spesso è un abusivo che si impossessa di patrie che non vogliono sottostare ai suoi ordini e che emerge semplicemente per la circostanza di essere la fazione militare più forte di un determinato territorio. Qualcosa per cui, in fin dei conti, non richiede nemmeno l'esistenza di una patria.
In generale, l'antimilitarismo e l'idea che una guerra sia sempre sbagliata, sono sciocchezze: a chi oggi trova un retaggio del passato morire per la patria, bisognerebbe sventolare la Shoah e dunque fargli presente cosa accade quando non si ha un focolare presso cui rifugiarsi, essendo esposti all'arroganza e alla prepotenza dei padroni di casa presso i quali siamo accampati. Morire per la patria, se quella è davvero una patria, è un obbligo morale esattamente come lo è morire per i propri cari. Il problema è che bisogna capire se è una patria che andiamo a difendere oppure un clan di criminali che non ha a cuore le sorti dell'Italia. La questione potrebbe sembrare di lana caprina ma non lo è affatto.
Oggi cosa vuol dire combattere per l'Italia? Questa domanda me la sono posta quando la pandemia ha fatto emergere due tipologie di umanità che parlavano italiano. Nel biennio che va dal 2020 al 2022, mi sono reso conto di odiare a morte l'umanità che ha applaudito a tutte le oscenità a cui abbiamo assistito in questi anni. Ho odiato una parte di italiani così ampia al punto che ad un certo momento - questo lo sa chiunque abbia visto da vicino la mia rabbia - dopo aver visto parenti di persone a me care passare le pene dell'inferno e in qualche caso rimetterci le penne per aver semplicemente esercitato il diritto di non vaccinarsi, ho persino pensato di creare un movimento terroristico, facendo una mappa di tutte le persone che avrei voluto ammazzare; e al punto che mi sono dovuto chiedere, mentre il progetto de La Grande Italia era in gestazione, se questo nome così chiaramente ancorato ad una nazione con un così alto numero di persone che odio, fosse appropriato. Mi sono chiesto: ma fai che questa Italia io l'abbia sopravvalutata, che io mi sia messo ad amare qualcosa che in realtà andrebbe odiato e in realtà la vera patria è un'altra. Sono infine giunto ad una conclusione: l'Italia come famiglia c'è, ma vive in una casa espropriata da una famiglia che non ha nulla a che fare con la nostra, ma che si firma e si presenta col nostro cognome. Un po' come se io andassi ad Arcore, occupassi quell'enorme villa e mi firmassi Francesco Berlusconi. Certamente godrei dei vantaggi di un cognome così importante, ma chi è legato alla storia di Berlusconi giustamente riterrebbe ridicolo combattere per il berlusconismo, dal momento che io in realtà non faccio Berlusconi di cognome.
Fuor di metafora, oggi, combattere per l'Italia significa combattere non per l'italianità, per un'idea di patria, quanto per un paese, gli Stati Uniti, che ottant'anni ha vinto una guerra e che, come era logico e ovvio che fosse, si è impadronito di tutta l'Europa Occidentale, fingendo di non toccare le sovranità locali. Da ottant'anni, i governi non sono altro che protettorati americani il cui compito è servire la madrepatria occulta, attraverso una sottomissione pressoché totale sul piano militare, economico e culturale. Fin quando un blocco geopolitico forte si contrapponeva agli Stati Uniti costringendoli a dare all'Europa il meglio di sé, coprendosi di debiti, noi abbiamo vissuto nel benessere e nella pace. Oggi che quel blocco non c'è più, in un mondo multipolare nel quale nessuno regala nulla, gli Stati Uniti hanno deciso di tirare i remi in barca, cercando di arraffare tutto quel che possono dai paesi europei, obesi, incapaci di difendersi e di gestirsi.
La guerra in Ucraina non è che una parte del conto presentato dagli americani all'Europa, il cui scopo è quello di esaurire le scorte delle armi e delle economie europee. Di conseguenza, io non andrei a combattere per la mia patria ma per gli interessi di un paese che non mi appartiene. Non è per gli interessi del nostro paese che è nata questa guerra, ma unicamente per gli interessi americani. Quando Biden ha detto, in mondovisione, che l'Europa è un prezzo da pagare, qualsiasi persona dotata di un sano raziocinio avrà drizzato preoccupato le antenne e si sarà chiesta "Cosa vuol dire tutto questo?".
Dunque la mia risposta è molto chiara: se si entrasse in guerra, io diserterò, assumendomene tutte le responsabilità del caso. Amo l'Italia come nazione ma non amo chi sta abusivamente occupando il paese, che forse parlerà italiano, magari mangerà la pasta e la pizza, ma che di italiano non ha nulla. Amo alcuni italiani, quelli che, come me, hanno resistito a tanti anni di bugie. Loro sono miei fratelli e per loro, sì, darei la mia vita. Ed è forse questo il punto che molti ignorano: lo Stato non c'entra nulla con la patria. La patria è come una grande famiglia allargata che si ritrova in uno stesso focolare, che ha gli stessi interessi, pur nella diversità generale di vedute. Lo Stato, viceversa, spesso è un abusivo che si impossessa di patrie che non vogliono sottostare ai suoi ordini e che emerge semplicemente per la circostanza di essere la fazione militare più forte di un determinato territorio. Qualcosa per cui, in fin dei conti, non richiede nemmeno l'esistenza di una patria.