Se leggessimo e ascoltassimo i sionisti all'amatriciana - quelli che consacrano il proprio profilo all'esaltazione acritica di tutto ciò che viene da Israele (casomai nella speranza di farsi notare da qualche ebreo e accedere a qualche stanza del potere) - penseremmo che Israele e Stati Uniti sono una cosa sola. In realtà, chi ha il viziaccio di andare direttamente alla fonte delle notizie, chi non si sottomette ai tanti opinion leader d'accatto che la socialsfera sforna - che non fanno altro che copiare ciò che dicono i maître à penser del mainstream su cui hanno scelto di appiattire il proprio spirito critico - sa benissimo che i rapporti tra Stati Uniti e Israele sono, e non da oggi ma da diversi anni, pessimi.
Come sempre accade quando si vuole nascondere una verità più grande, ci si concentra sul chiacchiericcio - i dettagli della riforma di Netanyahu - per ignorare il quadro generale, che è molto chiaro: Israele vuole sottrarsi dal controllo degli americani e vuole farlo semplicemente sabotando il trojan con cui gli Stati Uniti penetrano nei sistemi politici altrui, il potere giudiziario. Su come e perché un paese sovrano debba avere una magistratura sotto il proprio controllo, abbiamo già scritto diverse volte, così come abbiamo scritto come e perché gli Stati Uniti, da sempre, usino i poteri di controllo dei loro alleati per costringerli a suonare soltanto la musica di Washington. Il punto è capire come mai un alleato chiave degli Stati Uniti voglia andarsene per conto proprio, come mai ogni giorno che passa, c'è un paese che si smarca dall'Occidente e che vuole entrare nei BRICS, come mai ogni giorno un pezzo del sistema occidentale crolla.
Nel momento in cui si descrive uno scenario del genere, è inevitabile che Israele, stato che deve tutto agli Stati Uniti - senza la cui alleanza, semplicemente oggi non esisterebbe - sia costretto a cercarsi altri interlocutori nel momento in cui il declino americano appare in tutta la sua evidenza. Netanyahu tutto questo lo sa bene, così come sa benissimo che gli Stati Uniti dispongono di un fitto sistema di interferenze nelle politiche altrui, che vanno dalle grandi stampe al potere giudiziario dei paesi locali. La riforma in sé sostanzialmente vuole impedire che la Corte Suprema possa far dimettere - come avviene adesso - un ministro del governo oppure addirittura il Primo Ministro. E Netanyahu vuole intervenire proprio su questo punto. Ma l'idea che la Corte Suprema di un paese sia espressione della politica è il principio base del presidenzialismo, che esiste - in varie forme, da quella totale a quella semipresidenziale - in svariati paesi del mondo, Stati Uniti compresi. Uno può legittimamente non essere presidenzialista ma non si capisce perché non abbia nulla da dire sul sistema presidenziale statunitense - che è molto più blindato di quanto voglia farlo diventare Netanyahu - mentre all'improvviso quando Netanyahu o Erdogan, o anche politici italiani, vogliono fare riforme che vadano in una direzione anche solo blandamente presidenzialistica, si gridi alla dittatura. O meglio, si capisce proprio se si mette in discussione l'idea degli Stati Uniti garanti della libertà economica e politica.
Come sempre accade quando si vuole nascondere una verità più grande, ci si concentra sul chiacchiericcio - i dettagli della riforma di Netanyahu - per ignorare il quadro generale, che è molto chiaro: Israele vuole sottrarsi dal controllo degli americani e vuole farlo semplicemente sabotando il trojan con cui gli Stati Uniti penetrano nei sistemi politici altrui, il potere giudiziario. Su come e perché un paese sovrano debba avere una magistratura sotto il proprio controllo, abbiamo già scritto diverse volte, così come abbiamo scritto come e perché gli Stati Uniti, da sempre, usino i poteri di controllo dei loro alleati per costringerli a suonare soltanto la musica di Washington. Il punto è capire come mai un alleato chiave degli Stati Uniti voglia andarsene per conto proprio, come mai ogni giorno che passa, c'è un paese che si smarca dall'Occidente e che vuole entrare nei BRICS, come mai ogni giorno un pezzo del sistema occidentale crolla.
Nel momento in cui si descrive uno scenario del genere, è inevitabile che Israele, stato che deve tutto agli Stati Uniti - senza la cui alleanza, semplicemente oggi non esisterebbe - sia costretto a cercarsi altri interlocutori nel momento in cui il declino americano appare in tutta la sua evidenza. Netanyahu tutto questo lo sa bene, così come sa benissimo che gli Stati Uniti dispongono di un fitto sistema di interferenze nelle politiche altrui, che vanno dalle grandi stampe al potere giudiziario dei paesi locali. La riforma in sé sostanzialmente vuole impedire che la Corte Suprema possa far dimettere - come avviene adesso - un ministro del governo oppure addirittura il Primo Ministro. E Netanyahu vuole intervenire proprio su questo punto. Ma l'idea che la Corte Suprema di un paese sia espressione della politica è il principio base del presidenzialismo, che esiste - in varie forme, da quella totale a quella semipresidenziale - in svariati paesi del mondo, Stati Uniti compresi. Uno può legittimamente non essere presidenzialista ma non si capisce perché non abbia nulla da dire sul sistema presidenziale statunitense - che è molto più blindato di quanto voglia farlo diventare Netanyahu - mentre all'improvviso quando Netanyahu o Erdogan, o anche politici italiani, vogliono fare riforme che vadano in una direzione anche solo blandamente presidenzialistica, si gridi alla dittatura. O meglio, si capisce proprio se si mette in discussione l'idea degli Stati Uniti garanti della libertà economica e politica.
Nessun filoamericano vuole arrendersi ad una realtà: gli americani amano il libero mercato e la democrazia, purché siano il libero mercato americano e la democrazia americana. Quando qualcuno vuole fare l'America in casa propria, ma parlando con la propria lingua, gli americani si infastidiscono. Che volete farci? Sono fatti così. Ed è tutta colpa di Marx (cit.)