Una cosa che non ho mai capito - oltre a non aver mai capito proprio loro sul piano ideologico - è perché i vegani sentano l'esigenza di etichettare alcuni cibi con i nomi di alcuni alimenti di derivazione animale. Sentiremo quindi parlare di "latte di soia" e di "cotoletta vegana", in un delirio per il quale ad un certo momento non si capisce cosa è carne e cosa non. Chi non vuole mangiare la carne non si capisce perché poi vada a cercare hamburger di ceci. Non fa prima ad ordinare una verdura normale come tutte le persone sane di mente? Misteri dell'ideologismo progressistoide che per colpa del mio quoziente intellettivo da ostrica, non riuscirò mai ad estricare. Personalmente, quando rompo con un sistema di valori, è una rottura definitiva. Se un giorno decidessi di non consumare più latticini, non chiamerei la lattuga "mozzarella vegana", ma lattuga e basta. E così, quando dopo quarant'anni di onorata "carriera" di guardatore di TV, si è scassato il televisore e ho deciso di non comprarne un altro, non sono andato alla ricerca compulsiva di un sostitutivo, trasformando il mio pc nel mio nuovo televisore. Mi sono semplicemente chiesto: la televisione è fondamentale nella mia vita? I quiz sempre più stupidi, i telegiornali sempre più schierati, i talk-show ridicoli, fatti per orientare, non per promuovere dibattiti interessanti, i telefilm ove imperversano attori talmente scarsi ai quali un regista sano di mente non farebbe recitare nemmeno la parte del quarto alabardiere "Ehi! Chi va là?" e potrei proseguire oltre, mi hanno dato la risposta: in casa mia c'è solo un televisore rotto, per il resto quando voglio vedere il Napoli o il tennis, me lo vedo online, on demand, come si direbbe oggi.
Dunque, tra le tante cose sparite dalla mia vita, c'è il Festival di Sanremo, di cui prima sapevo tutto e di cui ora non so nulla né mi premuro di rimediare, anche perché quando nei periodi del festival, le newsfeed dei social sono travolte da post, video, foto, polemiche e mi capita di ritrovarmi schiaffato spizzichi e bocconi, mi accorgo che ogni anno di più questa manifestazione peggiora, svuotandosi di vera musica e riempendosi di propaganda. E in tal senso, sia detto per inciso, il problema non è che Sanremo sia "di sinistra". Semplicemente Sanremo corre in soccorso del vincitore, del potere dominante, come ogni cosa che conquisti l'onnipresenza. Se la temperie del tempo suggerisce l'esaltazione delle nozze gay, la profanazione della decenza, il multiculturalismo, avremo Mahmood e Blanco che per poco non copulano in diretta televisiva, Achille Lauro che fa la mossa di calarsi le mutande in televisione, orde barbariche di artisti meticci, di madre italiana e di padre di qualche paese africano (perché il multicolor deve essere sempre negroide o maghrebino, mai asiatico o ispanico). Quando però tira il vento del bigottismo cattolicoide, Gigliola Cinquetti, sedicenne, vincerà Sanremo cantando, in giro di Do, al povero malcapitato di turno "Non te la do", dando la colpa all'età e non al fatto che il poveretto non sia questa tentazione irresistibile - altrimenti "l'età per amarlo" l'avrebbe avuta pure a quattordici anni.
In questi giorni si dice che nel 2024 Sanremo possa essere affidato a Pino Insegno e che questo dipenda dai rapporti amichevoli tra il popolare doppiatore e Giorgia Meloni. A parte il fatto che Pino Insegno - grande artista e persona intelligente - ha ribadito proprio oggi di non essere interessato, forse proprio perché sa benissimo che sarebbe un suicidio, molti, specie nell'area del dissenso, erano andati in sollucchero pensando "Finalmente un Festival di destra dove ascolteremo un po' di sana musica". E non si rendono conto - nessuno si rende conto - che non fanno altro che vivere di luce riflessa del sistema. Del resto, che il sistema sia legittimato anche dal controsistema del dissenso - e che bisognerebbe in realtà proprio cambiare paradigma per rivoluzionare questo paese - è cosa su cui ha già scritto gente assai più autorevole di me.
Perché allora un Sanremo di destra sarebbe un flop? Perché significherebbe non aver capito alcune cose molto semplici.
Intanto, che il successo, come ho scritto un po' di giorni fa, ha poco a che fare con le qualità individuali ma molto con la rete relazionale che si riesce a costruire o penetrare. Chi dispone dei contatti giusti ha successo, anche se stona o scrive banalità da terza elementare. Ma soprattutto che in Italia non esiste nessuna cultura di destra e nessuna cultura di sinistra. Esiste un paese con una struttura di potere praticamente identica a quella iraniana, in cui il dibattito democratico viene sabotato dal Consiglio degli Esperti e da una Guida Suprema, che in qualsiasi momento può defenestrare il potere politico. Se si sostituisce la Guida Suprema col Presidente della Repubblica, il Consiglio degli Esperti con quel grumo di potere rappresentato da pezzi di finanza, di giornalismo e di magistratura e il Corano con i libri di Saviano e della Murgia, abbiamo rifatto l'Iran tale e quale. Quanto sopra, fintamente avversato da un contropotere la cui unica ideologia è dire "Siamo di destra perché non siamo di sinistra". Di conseguenza, un Sanremo contrario all'ideologia dominante verrebbe immediatamente boicottato dalle case discografiche, sabotato da quei poteri, con una valanga di fango, quando non con calunnie giudiziarie: film già visto con Sanremo 2004, che fu tutt'altro che un brutto Festival sul piano musicale, dove però la direzione e la conduzione furono affidati a noti berlusconiani come Tony Renis e Simona Ventura. E fu un flop.
Dunque, tra le tante cose sparite dalla mia vita, c'è il Festival di Sanremo, di cui prima sapevo tutto e di cui ora non so nulla né mi premuro di rimediare, anche perché quando nei periodi del festival, le newsfeed dei social sono travolte da post, video, foto, polemiche e mi capita di ritrovarmi schiaffato spizzichi e bocconi, mi accorgo che ogni anno di più questa manifestazione peggiora, svuotandosi di vera musica e riempendosi di propaganda. E in tal senso, sia detto per inciso, il problema non è che Sanremo sia "di sinistra". Semplicemente Sanremo corre in soccorso del vincitore, del potere dominante, come ogni cosa che conquisti l'onnipresenza. Se la temperie del tempo suggerisce l'esaltazione delle nozze gay, la profanazione della decenza, il multiculturalismo, avremo Mahmood e Blanco che per poco non copulano in diretta televisiva, Achille Lauro che fa la mossa di calarsi le mutande in televisione, orde barbariche di artisti meticci, di madre italiana e di padre di qualche paese africano (perché il multicolor deve essere sempre negroide o maghrebino, mai asiatico o ispanico). Quando però tira il vento del bigottismo cattolicoide, Gigliola Cinquetti, sedicenne, vincerà Sanremo cantando, in giro di Do, al povero malcapitato di turno "Non te la do", dando la colpa all'età e non al fatto che il poveretto non sia questa tentazione irresistibile - altrimenti "l'età per amarlo" l'avrebbe avuta pure a quattordici anni.
In questi giorni si dice che nel 2024 Sanremo possa essere affidato a Pino Insegno e che questo dipenda dai rapporti amichevoli tra il popolare doppiatore e Giorgia Meloni. A parte il fatto che Pino Insegno - grande artista e persona intelligente - ha ribadito proprio oggi di non essere interessato, forse proprio perché sa benissimo che sarebbe un suicidio, molti, specie nell'area del dissenso, erano andati in sollucchero pensando "Finalmente un Festival di destra dove ascolteremo un po' di sana musica". E non si rendono conto - nessuno si rende conto - che non fanno altro che vivere di luce riflessa del sistema. Del resto, che il sistema sia legittimato anche dal controsistema del dissenso - e che bisognerebbe in realtà proprio cambiare paradigma per rivoluzionare questo paese - è cosa su cui ha già scritto gente assai più autorevole di me.
Perché allora un Sanremo di destra sarebbe un flop? Perché significherebbe non aver capito alcune cose molto semplici.
Intanto, che il successo, come ho scritto un po' di giorni fa, ha poco a che fare con le qualità individuali ma molto con la rete relazionale che si riesce a costruire o penetrare. Chi dispone dei contatti giusti ha successo, anche se stona o scrive banalità da terza elementare. Ma soprattutto che in Italia non esiste nessuna cultura di destra e nessuna cultura di sinistra. Esiste un paese con una struttura di potere praticamente identica a quella iraniana, in cui il dibattito democratico viene sabotato dal Consiglio degli Esperti e da una Guida Suprema, che in qualsiasi momento può defenestrare il potere politico. Se si sostituisce la Guida Suprema col Presidente della Repubblica, il Consiglio degli Esperti con quel grumo di potere rappresentato da pezzi di finanza, di giornalismo e di magistratura e il Corano con i libri di Saviano e della Murgia, abbiamo rifatto l'Iran tale e quale. Quanto sopra, fintamente avversato da un contropotere la cui unica ideologia è dire "Siamo di destra perché non siamo di sinistra". Di conseguenza, un Sanremo contrario all'ideologia dominante verrebbe immediatamente boicottato dalle case discografiche, sabotato da quei poteri, con una valanga di fango, quando non con calunnie giudiziarie: film già visto con Sanremo 2004, che fu tutt'altro che un brutto Festival sul piano musicale, dove però la direzione e la conduzione furono affidati a noti berlusconiani come Tony Renis e Simona Ventura. E fu un flop.
La vera difficoltà da parte di chi oggi fa politica sta nel non capire che se non si risolve il problema della Guida Suprema, del Consiglio degli Esperti e della sharia del progressismo, noi non avremo mai un paese autenticamente democratico, figlio del volere della gente. Avremo sempre una mafia che soffocherà qualsiasi forma di cambiamento ed una contromafia che fingerà di opporvisi, di fatto legittimando l'esistenza del sistema ufficiale. Io se voglio ascoltare un po' di sana musica leggera italiana, non ho bisogno di guardare Sanremo e di assistere ad una gara finta, i cui esiti sono stabiliti a tavolino. Mi basta ascoltare i 270 Bis, Morsello, Lindo Ferretti, che non saranno Lucio Battisti ma che sicuramente sono molto meglio di Blanco e di Achille Lauro. La vera cultura, la vera arte, la vera intelligenza non sono né a destra né a sinistra. Sono semplicemente in luoghi che il potere non riesce ancora ad irreggimentare e che le menti incontaminate dal delirio degli ultimi anni devono difendere. E' in quei luoghi che oggi bisogna fare resistenza. La RAI va riconquistata svuotandola, facendo capire ai suoi padroni finti e a quelli veri, che non hanno più presa su di noi.