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Il giornalismo scomodo oggi, per molti, è insultare un politico, che beninteso non appartenga alla parrocchia giusta. Così molti si sono fatti vanto di chiedere ad Andreotti "Lei è un mafioso?" come se questa fosse una domanda intelligente. Altri di aver chiesto a Berlusconi "Cavaliere dove ha preso i soldi?" appropriandosi di meriti che in realtà erano di altri giornalisti che pure si scomodarono fino a casa Borsellino. Per il resto, l'Italia è il paese dei misteri e delle tante domande che nessuno ha il coraggio di fare. Dei giornalisti intoccabili che riempiono di contumelie chi fa parte del treno sbagliato per poi sdraiarsi adoranti a zampe all'aria, come il cagnolino appena torna il padrone, davanti ai politici che invece appartengono alla carrozza giusta.

Minà, come Mollica - che essendo ancora vivo, viene sostanzialmente ignorato, poi dopo la morte tutti si ricorderanno di lui - apparteneva ad un giornalismo ritenuto comodo, ipocritamente sdraiato di fronte al potere. Ma sono balle. Il metodo Minà è semplicemente il giornalismo rispettoso ed educato di chi, di fronte al mito, cerca di farci amicizia per poi strappare quante più confidenze possibili, comprese quelle che loro non avrebbero mai detto a nessun altro. Fu così che, amico di Maradona, di Cassius Clay, del Che Guevara, di Fidel Castro, di Hugo Chavez, abbiamo capito tante cose che mai ci sarebbero arrivate con un giornalismo molesto e fastidioso. Minà non era un cortigiano ma un vero amico di questi personaggi. Per Maradona era praticamente un secondo padre. E pazienza se noi abbiamo ascoltato e letto solo la versione di Diego: il vero segreto di Minà è di far aprire talmente tanto le persone che intervistava, da far uscire dalle loro bocche anche ciò che non avrebbero dovuto dire. E sempre comunque con la sensazione di credere profondamente nel suo mestiere.

Poi certo, chi sosteneva che fosse uno sterminatore di congiuntivi - leggendarie le celie dei colleghi di fronte ai suoi non infrequenti scivoloni - tutti i torti non li aveva: forse non faceva stragi ma lo scheletro di qualche congiuntivino nell'armadio lo teneva. Eppure lo si leggeva e lo si ascoltava lo stesso. Perché? Perché il vero giornalista non è quello che azzecca i tempi e i modi giusti della lingua italiana ma colui che, con la sua umanità, sa mettere in contatto il lettore col contenuto, che mette se stesso al servizio del mestiere. E pazienza se ogni tanto canna qualche verbo: non esiste un'età massima per conoscere a menadito il vocabolario.
Se non avessi il disgusto per la retorica, oggi scriverei che finalmente Minà è in cielo ad intervistare Diego. Mi limito invece a dire che il giornalismo italiano ha perso un grandissimo e sottovalutato protagonista.

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Uno dei più grandi! Con quell'aria paterna ti snocciolava informazioni che non trovavi da nessuna parte. Mi ricordava Tiziano Terzani
altro strepitoso giornalista molto più scomodo a tal punto che in Italia raramente pubblicarono i suoi fantastici articoli sulla guerra del Vietnam dato che la descriveva "anche" dalla parte dei Vietcong e le sue interviste a Westmoreland e a Von nguien Giap, me le dovevo leggere su "Der Spiegel" . Almeno Minà lo ricordano in molti, Terzani alcuni lo scoprirono" quando scrisse i suoi libri, molti non lo conoscono.
 
Ho sempre amato la sua passione per il cinema, la musica e la cultura pop Anni 60. Un pò meno (da ex centrodestrista filoberlusconi) le sue genuflessioni a Fidel Castro e compagnia cantante. Ma anche su questo versante, lo sto alquanto rivalutando considerando la piega che ha preso il cosiddetto Occidente Libero...
 

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Franco Marino
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