La fuitina è un desiderio di chiunque abbia avuto la fortuna di vivere un amore adolescenziale: fuggire per ribellarsi all'autorità paterna e godersi un amore passionale. E' una cosa su cui è inutile moraleggiare, sia perché la natura, pensata non per una civiltà evoluta ma per luoghi dove la vita media è della durata di 20-25 anni, prevede che l'adolescenza sia l'età giusta per prolificare, sia perché se i due innamorati, divenuti maggiorenni, hanno di che sopravvivere e sanno gestirsi, ai due genitori non resta che prenderne atto. Soltanto che essendo la società strutturata per rinviare il momento dell'effettiva emancipazione a date talmente remote nel futuro, oggi non abbiamo il problema di ridurre a miti consigli i ragazzini ma, al contrario, pletore di trentenni quando non quarantenni sulle spalle di mammà e papà. Per cui, la fuitina ha senso quando due adolescenti - caso più unico che raro - sono indipendenti economicamente. Quando invece è solamente figlia dei furori del sesso, è una scemenza di cui presto la realtà chiede conto. Naturalmente, non mancano famiglie autoritarie in cui il padre non è il bastione della saggezza ma un bruto da cui scappare ma ecco il punto: se il padre padrone è diventato autoritario, pensare di liberarsene protestando e costringendolo a diventare sempre più violento e aggressivo non è una brillante strategia. Il giovane prima dovrà trovarsi un sistema alternativo che gli consenta di vivere, poi può liberarsi del padre padrone scacciandolo dalla propria casa oppure trovando una casa alternativa in cui vivere. Oppure può trovarsi qualcuno che lo mantenga, che non necessariamente sarà migliore del padre padrone.
Di fronte a questi dati in fondo banali, muore la credibilità di qualsiasi sbocco interessante che venga da Parigi, ma come anche dal porto di Trieste o dalle autostrade canadesi. Perché in nessuno di questi casi si assiste a qualcosa che faccia pensare alla possibilità di un sistema alternativo ma soltanto la sterile reazione di una cittadinanza che ha capito perfettamente la tossicità del proprio sistema politico, che sa benissimo che la riforma delle pensioni è una truffa, ma a fronte della quale non ha alcun rimedio alternativo credibile, che anzi quelli proposti non di rado fanno pensare ad una mano superiore che non vuole una nuova Francia ma soltanto destabilizzarla. Il che non significa che ci si debba rassegnare, tutt'altro. Bisogna semplicemente prendere atto che, così come i tumori più insidiosi sono quelli che riescono a nascondere i sintomi fino a quando sono praticamente incurabili (quello al pancreas è emblematico, in tal senso) al tempo stesso le vere rivoluzioni non si caratterizzano per schiamazzi inutili che ottengono soltanto di dare giustificazioni al potere per calare la propria scure liberticida. Al contrario esse funzionano quando, silenziosamente, si appropriano dei sistemi che vogliono distruggere per poi svelarsi nel momento in cui, per i governi, è troppo tardi per poterle estirpare. E spesso non è nemmeno detto che le rivoluzioni salvino davvero una società: la Resistenza ci ha liberati dal fascismo e ci ha consegnati alla tirannia americana, rimasta nascosta fin quando le convenienze glielo suggerivano, e che sta mostrando il proprio feroce volto adesso che non ci sono più contrappesi geopolitici. Quindi non basta fare la Rivoluzione. Bisogna anche sincerarsi che essa ci consegni un Paese migliore, cosa non scontata.
Le rivolte parigine assomigliano molto ad una fuitina. Non da parte di chi le inizia, che anzi c'è da aspettarsi che spesso una rivolta sia eterodiretta, per vari fini. Ma chi vi partecipa ha, non di rado, la sensazione di un tana liberatutti non dissimile da quello dei due innamorati che scappano dalla casa paterna. Il punto è che chi si aspetta un cambiamento, dimentica che uno Stato non è un abusivo che si impossessa della vita delle persone contro la loro volontà ma un ordine costituito che si fonda proprio sul consenso della cittadinanza, che non di rado lo trova opprimente - dando così luogo a proteste, a manifestazioni, ad ondate d'indignazione - ma che certamente non è disposta a distruggerlo in cambio di niente. Una volta abbattuto un sistema che comunque distribuisce pasti - invero sempre più poveri - o si ha un sistema alternativo oppure l'alternativa è il caos, nel quale non vince la rivoluzione ma il potere costituito. Chi, con un congiunto ricoverato in ospedale, accetterebbe di destabilizzare il paese - col rischio che appunto i medici che devono curarlo, non si presentino al lavoro - senza avere un ospedale alternativo dove curarlo? Chi rinuncerebbe al suo stipendio mensile in cambio di un sistema dove non è assicurato almeno un pasto mattina e sera? Questo lo si è visto soprattutto durante la pandemia: tutti erano pronti a scagliarsi - anche giustamente - contro i soprusi della classe medica per poi, di fronte al primo sintomo preoccupante di covid, precipitarsi in ospedale, spesso trovando la morte. Se ci fossero stati ospedali clandestini, con medici ribelli, tantissime persone si sarebbero potute curare senza dover passare sotto il ricatto di medici che, senza una professione di fede nell'onnipotenza del vaccino, li avrebbero fatti morire ammazzati.
Di fronte a questi dati in fondo banali, muore la credibilità di qualsiasi sbocco interessante che venga da Parigi, ma come anche dal porto di Trieste o dalle autostrade canadesi. Perché in nessuno di questi casi si assiste a qualcosa che faccia pensare alla possibilità di un sistema alternativo ma soltanto la sterile reazione di una cittadinanza che ha capito perfettamente la tossicità del proprio sistema politico, che sa benissimo che la riforma delle pensioni è una truffa, ma a fronte della quale non ha alcun rimedio alternativo credibile, che anzi quelli proposti non di rado fanno pensare ad una mano superiore che non vuole una nuova Francia ma soltanto destabilizzarla. Il che non significa che ci si debba rassegnare, tutt'altro. Bisogna semplicemente prendere atto che, così come i tumori più insidiosi sono quelli che riescono a nascondere i sintomi fino a quando sono praticamente incurabili (quello al pancreas è emblematico, in tal senso) al tempo stesso le vere rivoluzioni non si caratterizzano per schiamazzi inutili che ottengono soltanto di dare giustificazioni al potere per calare la propria scure liberticida. Al contrario esse funzionano quando, silenziosamente, si appropriano dei sistemi che vogliono distruggere per poi svelarsi nel momento in cui, per i governi, è troppo tardi per poterle estirpare. E spesso non è nemmeno detto che le rivoluzioni salvino davvero una società: la Resistenza ci ha liberati dal fascismo e ci ha consegnati alla tirannia americana, rimasta nascosta fin quando le convenienze glielo suggerivano, e che sta mostrando il proprio feroce volto adesso che non ci sono più contrappesi geopolitici. Quindi non basta fare la Rivoluzione. Bisogna anche sincerarsi che essa ci consegni un Paese migliore, cosa non scontata.
Certo è che, fin quando non si capirà la differenza tra una rivoluzione e una rivolta, e soprattutto tra una liberazione e un passaggio di proprietà, il dissenso rimarrà sempre uno sterile focolaio di tensioni che un governo può soffocare senza alcuna fatica.