Oggi è il 19 Marzo ed è San Giuseppe, meglio noto anche come la festa del papà. Ha fatto scalpore la scelta da parte di una preside di non festeggiare tale festa per salvaguardare chi un padre non ce l'ha. E' evidente che, letta così, questa sia una sesquipedale sciocchezza che non meriterebbe più di tanto un commento. Tanto per cominciare non si smette di essere figli, anche se i propri genitori sono sotto terra o, per chi ci crede, altrove. Anzi paradossalmente proprio da quando mio padre e mia madre non ci sono più, personalmente sento l'esigenza di avere qualcosa che celebri l'importanza della famiglia come concetto, oltre al fatto importantissimo di essere padre io. Ma è come se io riversassi nella difesa dei genitori e della famiglia, quell'amore per i miei che non può avere più destinatari, a meno che da qualche parte mio padre e mia madre non mi vedano. E poi, nascondere ad un figlio la circostanza di aver subito una grave perdita, non lo abitua ad un futuro in cui, prima o poi, si dovrà avere a che fare col concetto di perdita. Per quanto si possa avere genitori e nonni longevi (e i più fortunati, anche bisnonni) il momento in cui vedremo un corpo freddo che non potrà più rispondere alle nostre carezze, e che ci fa dunque misurare con la morte di una persona cara, è inevitabile, a meno di non morire bambini o giovanissimi, a meno di non avere la sfortuna di non aver mai avuto nessuno di significativo per noi. Convivere col dolore, fisico e morale, nei suoi aspetti più tipici è la lezione che un individuo deve capire per sviluppare quel coraggio che lo porti ad affrontare circostanze in cui non potrà fare a meno di soffrire. E, dunque, nascondere ad una persona l'esperienza del dolore, non solo non la protegge rendendola debole quando il futuro non avrà la forma di un tutore che ci protegga dal dolore ma ce lo sbatterà in faccia in tutta la sua arroganza, ma soprattutto, non le si insegna il valore di chi abbiamo accanto e dunque l'importanza di salvaguardarlo proteggendolo, coccolandolo, dicendole ogni giorno "ti voglio bene/ti amo" e dimostrandoglielo.
Se il problema fosse soltanto nella sciocchezza di una preside, l'articolo si chiuderebbe qui. In realtà, tutto rientra nella una prassi consolidata, ossia la demolizione del maschio in tutte le sue funzioni: sessuali, parentali, marziali.

Un libro di un autore israeliano che presto intervisterò per La Grande Italia parla di come l'evoluzione e il declino delle civiltà siano coincise con il livello di testosterone in esse presenti. Il testosterone, contrariamente a quanto molti sostengono, non è "l'ormone maschile". Nel senso che sì, è presente in gran parte negli uomini che ne posseggono in misura maggiore, ma c'è anche nelle donne. E' l'ormone che regola il desiderio sessuale in ambedue i sessi - il che spiega anche la maggiore eccitabilità del maschio rispetto alla femmina (e, aggiungerei, anche la gran parte di tutte le schermaglie intersessuali sul tema) - ed è l'ormone che porta le persone a cimentarsi in imprese che portino ad espandere il proprio potere e ad affrontare scontri fisici per il territorio. Essendo però il maschio colui che dispone maggiormente di testosterone, è evidente che se critichiamo tutti gli aspetti che sono espressione di questo ormone, di fatto cercheremo di castrarlo. E l'importanza del padre e soprattutto di un padre che sia testosteronico e che dunque faccia il padre, risiede principalmente nel confronto con qualcuno che, più forte di noi e per sua natura proteso a ricondurci alla retta via anche con qualche sganassone, ci elargirà una punizione alla quale non riusciremo a resistere. Ma il padre è anche colui che, grazie alla sua forza, difenderà il territorio e dunque anche noi, magari cercherà di procurarsene altri. E quando un paese straniero ha intenzione di sottometterne un altro, la prima cosa che farà sarà quella di indebolire il testosterone altrui, criminalizzandone gli aspetti principali.

C'è questo dietro terminologie come "mascolinità tossica". La mascolinità non è né tossica né sana in quanto tale, o perlomeno non più di quanto non possa esistere un'effettiva femminilità tossica. E' semplicemente mascolinità. E semmai ciò che fa la differenza è la qualità della persona, discorso che si estende anche ad una donna. Naturalmente non solo è lecito bensì doveroso perseguire sia penalmente sia dandogli una fracca di botte il troglodita che picchia la compagna, che moralmente esecrandolo. Ma pensare di perseguire, attraverso lui, la mascolinità in generale, facendone una questione di genere, è una scemenza. E' la mascolinità a far battere un vero maschio per la sua donna e per la sua famiglia fino alla morte, che lo porterà a dare il meglio a sé e alla sua famiglia. Ed è per effetto di quella mascolinità che il padre riconduce, con tutta la forza del suo testosterone, il figlio all'idea che, una volta che quel padre sarà vecchio e il figlio sarà diventato più forte di lui, l'avversario non sarà più un padre ormai malandato ma magari quel poliziotto che, oltre ad avere più muscoli di lui e magari anche una pistola pronta a sparare, non sarà animato nei suoi confronti dall'istinto parentale del padre ma dall'asetticità che solo il senso di estraneità sa restituire a chi crede, sbagliando, che il mondo sia un posto pieno di umanità, oppure sarà quel professore universitario che magari non è più forte in virtù del proprio fisico ma che rappresenta tuttavia l'autorità di uno Stato che decide se dobbiamo vivere o morire, o un datore di lavoro che non ci perdonerà le nostre angosce ma che vuole soltanto, attraverso il nostro lavoro, realizzare il suo guadagno. E dunque ci obbliga, se vogliamo ottenere il gradimento di queste autorità - e le conseguenze positive che ne deriva - ad essere migliori.

In sostanza, la figura del padre serve a ricordarci che la vita si basa sui rapporti di forza ai quali una volta o l'altra ci dobbiamo tutti quanti sottomettere e su cui si fondano regole fondamentali per la sopravvivenza di una qualsiasi comunità. Perché non esistono "due padri", "due madri", il "mammo" e magari "la babba". Esistono il padre e la madre, il maschio e la femmina, esistono regole naturali che non possono essere sovvertite, esistono diritti che non si possono avere. Esistono cose che non si possono avere e persone che non si può essere. A meno che non ci si dimostri più forti di queste regole e dunque non si affronti un percorso di sofferenza che non si limita solo a dire "NO" ma a costruire in cambio un ordine. Scoprendo così che il padre che riconduce tutti alla ragione sarà fondamentale sempre e comunque, quale che sia il sistema di valori che una società decida di darsi.
Il padre è il tempio della rettitudine, delle regole. E non è un caso che sia proprio dal progressivo indebolimento della figura paterna che stiano dilagando le peggiori perversioni dell'umanità occidentale.

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Penso pure io che esista una discriminazione inversa. La domanda che ti pongo caro Franco è a chi giova? Perché tutto questo? Vogliono forse, per un futuro prossimo, trasformarci tutti in esseri che non siano in grado di riprodursi e magari scegliere delle "fattrici" che su ordinazione ti sforna un bebè magari con le caratteristiche desiderate? Sono esterrefatta. Auguri per la tua festa.
 

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Franco Marino
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