Una riflessione che sorge spontanea a seguito delle violenze di Napoli-Eintracht e dopo aver letto un articolo di un giornale americano secondo cui il calcio andrebbe vietato. E' naturalmente una sciocchezza ma bisogna spiegarlo e non liquidare la cosa senza un commento. Sono stato un grandissimo appassionato di calcio, al punto che, non possedendo qualità sufficienti per giocarlo in prima persona (tanto atletismo ma pochissima tecnica) mi sarebbe piaciuto diventare o allenatore (in tanti lo sono diventati senza essere stati calciatori) o direttore sportivo, o magari procuratore. Sono stato anche un ultrà. Ma parliamo di una ventina di anni fa. Oggi non dico di disinteressarmene ma fondamentalmente mi è rimasta l'unica abitudine di seguire il Napoli e la Nazionale, peraltro non con particolare tepore. Gli azzurri sembrano ormai avviati verso uno scudetto letteralmente dominato, salvo un crollo talmente verticale che passerebbe nei libri di storia calcistica. In più, c'è la possibilità concreta che il cammino per la Champions non si fermi ai quarti di finale. Una volta arrivato in semifinale, il Napoli se la giocherebbe. Insomma, questa potrebbe essere la migliore stagione della storia del Napoli, c'è la quasi certezza dello scudetto e la possibilità non probabile ma nemmeno impossibile di vincere la Champions e tuttavia la cosa non dico che non mi interessi ma diciamo che non la vivo come ho vissuto i due scudetti. E tuttavia non solo quest'anno non sono mai andato allo stadio (del resto, l'ultima volta che ci andai sarà stato credo 7-8 anni fa) ma non ho alcuna intenzione di unirmi a carri di vincitori sui quali, oltretutto, salirà persino gente che manco sa cosa sia un fuorigioco. No, non è questione di essere invecchiato perché molte passioni sono rimaste intatte, come quella per il mio lavoro. E nemmeno che non mi piaccia il calcio in sé, che anzi abitando proprio di faccia ad un campo sportivo, ho la possibilità di vedere comodamente dal mio balcone diverse partite, con lo stesso interesse di un tempo. In realtà è un malessere, un disgusto nei confronti del calcio mediatico, di quello che vediamo in TV.

E nondimeno, le critiche sul calcio in quanto tale mi sono indigeste così come la bulimia imperante. Il calcio è un gioco e il gioco è presente in tutte le specie. Così come i gatti giocano col gomitolo di lana per affinare la propria propensione alla caccia, così gli esseri umani giocano al calcio per prepararsi ad altre cose, secondo alcuni alla guerra, come sembrerebbe dimostrato dall'ampio uso di terminologie che derivano dalla disciplina militare. Chi segna più gol è il "capocannoniere" del campionato, quando un giocatore si rende protagonista di un tiro particolarmente potente si dice che "dai suoi piedi si è sganciato un missile (o una cannonata)"; se poi l'azione d'attacco viene finalizzata in rete ci sarà descritta come un "micidiale e devastante blitz offensivo, in grado di scardinare il bunker difensivo in cui i difensori si erano trincerati". L'epitome della comicità si toccò quando, proprio durante una crisi con la Corea del Nord, ad un cronista di tutto il calcio minuto per minuto scappò detto "Il Perugia passa in vantaggio con una bomba del nordcoreano Kwang-song Han". E potrei proseguire oltre.
Il calcio, insomma, come tutti i giochi, ha una funzione educativa. Ma oggi si può davvero dire che oggi educhi? Se la dimensione fosse quella di un gioco, la risposta non potrebbe che essere positiva. Tanto per cominciare, al di là dei benefici per il fisico, il calcio - come in generale ogni sport di squadra - insegna al singolo a stare all'interno di un gruppo di persone di fronte alle quali deve reprimere le esondazioni della propria individualità. E poi educa al rispetto delle regole. Ma quando i principi morali e le regole sono destinati a sottomettersi agli interessi economici, fino ad arrivare a quel professionismo che di fatto delegittima qualsiasi discorso di "appartenenza" e di "maglia", ecco che tutto viene meno. A partire dalla famosa "identità". Infatti, svincolato il calcio dalla sua funzione identitaria, ecco che il Napoli stesso si è riempito di calciatori stranieri, mantenendo soltanto tre o quattro italiani, nessuno dei quali è nato a Napoli. Lo stesso Insigne, considerato una sorta di Totti napoletano, in realtà è di Frattamaggiore - e non ci ha pensato due volte ad andarsene via per più soldi - mentre Gaetano, l'ultimo rimasto, è di Cimitile, che pur essendo formalmente provincia di Napoli, di fatto è praticamente quasi Avellino. Insomma, questo Napoli cos'ha di napoletano? Nulla. Quanta differenza col Napoli degli scudetti, che era composto praticamente quasi da tutti campani e trascinato da un napoletano nato per sbaglio a Buenos Aires.

Molti dicono che tutto ciò è inevitabile, perché "business as usual". Ma il fatto che oggi il calcio sia un'industria - ragione per la quale, in nome di questo principio, se ne giustificano gli eccessi - non è una cosa che deve ricattarci moralmente. Anche la droga è una fiorente industria, non per questo ne parliamo positivamente. Naturalmente, contro questa esondazione - come contro la droga - non si può fare nulla di legislativo che non rischi di peggiorare le cose. In Colombia dopo che fu ammazzato un arbitro, sospesero per due anni il campionato. E a stroncare l'illusione che questo risolvesse le cose, pochi anni dopo sarà l'omicidio di un calciatore reo, con un suo autogol, di aver fatto eliminare la sua Nazionale dai Mondiali del 1994. E allora non serve a nulla il pugno di ferro. Perché anche se oggi proliferano su Facebook le pagine che inneggiano al calcio del passato, la realtà è che ad essere diventato quello che è oggi hanno contribuito gli stessi tifosi che poi affollano di like quelle pagine. Il calcio è diventato un'industria multimiliardaria proprio perché gode di un seguito eccessivo, che sfocia, come si è visto, nei disastri accaduti a Napoli. Si può solo sperare che per la gente il calcio smetta di essere una ragione di vita e venga ridimensionato a ciò che nei fatti è: un bellissimo sport a patto che rimanga in una dimensione rionale, che sia qualcosa da coltivare come dopolavoro. Si finisce di lavorare e si gioca un po' a calcio con altre persone. Viceversa, se diventa una ragione di vita, lo si tratta come si tratta tutto ciò da cui dipende la nostra vita stessa: qualcosa da difendere anche mettendo a ferro e fuoco una città.

Il calcio non va vietato. La realtà è che dovremmo tutti quanti insorgere per cose che davvero ci cambino la vita. E se a riuscire a mandare migliaia di persone a far casino nelle strade è solo il calcio, vuol dire che c'è qualcosa che non va. Perché un gioco non è mai negativo, diventa un problema solo se si appropria di ruoli e di compiti che non gli spettano. Si può provare una passione profonda e genuina come quella che ad istinto, quando vedo una palla, mi porta a scrollarmi di dosso i miei quarant'anni passati e azzardare qualche palleggio o qualche tiro. Ma quando in nome del calcio si devasta una città, si ammazzano persone, si compiono truffe contabili, si ingozzano cartelli criminali quando addirittura - è accaduto davvero - non si fa scoppiare una guerra vera e propria, la colpa non è in sé del gioco ma di chi non sa come riempire quei vuoti che inevitabilmente lo portano ad identificarsi con milionari che non conoscerà mai e che diventano importanti solo per saper prendere a pedate un pallone. Non è il calcio il problema, come non lo è nessuno sport, come non lo è la scienza.
Il problema è ciò che è diventata l'umanità.

Comments

Mi pare non sia cambiato nulla. Quando vivevo in UK ogni domenica c'era una devastazione dopo la partita. C'è chi scrisse pure un libro sulla violenza dei fan "The roots of football hooliganism: an historical and sociological study". Così in Francia sia a Parigi che in periferia. Non dimentichiamo la tragedia dell' Heysel nel 1985......
 
Sono perfettamente d'accordo.
Da ex tifosa di quella magica Sampdoria di Vialli e Mancini, che seguivo in tutta Italia e anche in tutta Europa, e da spettatrice di partite storiche, anche contro quel Napoli e quel napoletano di Buenos Aires 😍
C'erano le violenze anche allora, ma c'era anche una tifoseria piena di passione che genuinamente sosteneva i propri paladini.
Oggi l'umanità non è più la stessa, come giustamente scrivi.
Impossibile fare paragoni.
 

Media

Blog entry information

Author
Franco Marino
Views
3.285
Comments
4
Last update

More entries in Società

  • Pogrom?
    La parola è di origine russa, погром, e si legge “pagròm”. Si usa ancor oggi, ma non ha diretta attinenza a violenze fisiche su base razziale, né è direttamente legata all'antisemitismo: più...
  • Turetta vittima dell'irrazionalità del suo tempo (di Franco Marino)
    Il lettore avrà notato che ho scritto spesso del caso di Filippo Turetta. Le ragioni sono molte. Tanto per cominciare, se ne è parlato talmente tanto che, a momenti, ho avuto la sensazione di...
  • I media come tossici commandi ultrà (di Franco Marino)
    Chiunque nel 2024 legga i giornali, rimarrà stupito nel rendersi conto di come essi siano diventati una sorta di organo di tifoseria in perfetto stile "Hurra Juve" o "Tuttonapoli". Berlusconi, da...
  • Perché rimpiangiamo gli 883? (di Franco Marino)
    Avendo parenti che vivono a San Pietroburgo ma anche a Mosca, ed essendoci stato spesso - e a botte di mesi ciascuna - ho di quel controverso e bellissimo paese che è la Russia un punto di...
  • IL "7 OTTOBRE" DEGLI ITALIANI
    Lo scorso 7 Ottobre si è celebrato il primo anniversario del blitz condotto da Hamas in territorio israeliano che provocò morti, feriti e un notevole numero di ostaggi, molti dei quali ancora in...

More entries from Franco Marino

  • Saviano, suo malgrado, spiega perché Trump ha vinto (di Franco Marino)
    Da italiano e da berlusconiano, quindi da povero diavolo che ha passato la vita a difendersi dalle argomentazioni fallaci e intellettualmente disoneste degli antiberlusconiani, non ho fatto fatica...
  • Il boicottaggio deve diventare un reato (di Franco Marino)
    Una delle (poche) cose positive di un brutto periodo di vita, anche personale, è che, come i virus quando vengono debellati, lascia nell'organismo una memoria più o meno duratura, a volte eterna...
  • Gira la ruota! (di Franco Marino)
    Quando mi capita, soprattutto dal broadcast, che molti mi chiedano cosa io pensi degli eventi di politica internazionale che si stanno susseguendo, non posso fare a meno di trattenere un certo...
  • Prova di blogpost del 9 Novembre 2024
    <p>La vispa Teresa avea tra l'erbetta, a volo sorpresa gentil farfalletta. E tutta giuliva stringendola viva gridava a distesa: 'L'ho presa! L'ho presa!'. A lei supplicando l'afflitta gridò...
  • Glielo dico o ce lo dico?
    La grafia e la pronuncia corretta è glielo dico. Ce lo dico è una forma popolare da considerarsi errata. Cerchiamo di capire perché. Innanzitutto è bene fare una serie di passaggi preliminari che...
Top