Del caos ucraino si può parlare in due modi: seguendo la propaganda dell'una o dell'altra fazione, oppure limitandosi ai fatti. La propaganda dice che la guerra è iniziata esattamente un anno fa. I fatti dicono che la guerra in realtà era già iniziata otto anni prima e vedeva contrapposta l'Ucraina contro i separatisti del Dombass, i quali sono per la stragrande maggioranza filorussi e contro i quali l'Ucraina aveva usato la manovalanza di Azov per "derussificarli". Gli Stati Uniti, interessati a guadagnare terreno e piazzare basi militari di fronte alla Russia, erano sin dal principio interessati a difendere le ragioni dell'Ucraina, inviando armi e addestrando gli eserciti locali: già dal 2021 era noto al colto e all'inclita che la NATO stesse mobilitando migliaia di soldati in direzione ucraina. E la Russia naturalmente, al fine di espandere il proprio spazio vitale, ha sempre appoggiato i separatisti dell'est ucraino, ma in maniera bideniana, senza esporsi. Motivo? La Russia temeva come la peste la reazione americana.
Tutto questo è durato otto anni fin quando un giorno Putin, probabilmente avendo osservato proprio con il ritiro degli americani dall'Afghanistan ma anche con le difficoltà siriane, che gli Stati Uniti sono in fase di dismissione, ha deciso di intervenire per risolvere definitivamente la questione del Donbass, avendo cura - pena la galera per chiunque la considerasse una guerra - di definirla come Operazione Speciale.
Fin qui i fatti, incontestabili. Ma allora perché qui da noi si parla di guerra in Ucraina come se fosse scoppiata un anno fa? Per una ragione semplice. Gli Stati Uniti hanno bisogno che l'Occidente non si accorga della loro nuova fase isolazionistica, perché se si diffondesse nell'opinione pubblica la convinzione che gli americani non hanno più un peso tale da risolvere le questioni internazionali una volta e per tutte, inizierebbe un tana liberatutti che porterebbe alla fine dell'Occidente, del tutto analogo a quando la perestroika, il crollo del Muro di Berlino e la fine, a distanza di pochi giorni, del Comecon e del Patto di Varsavia, certificarono la fine della forza dell'URSS e, pochi mesi dopo, la fine dell'URSS stessa.
Definire quello in Ucraina come "sostegno degli americani" fa ridere i polli: in altri tempi, gli americani avrebbero mandato, da subito, aerei e soldati. Se viceversa si sono, stavolta, astenuti, è perché sono consapevolissimi che una degenerazione della situazione possa portare ad una guerra che potrebbero anche ritrovarsi sul proprio territorio.
Questa è una premessa di fondamentale importanza perché può spiegare le mosse di Putin - quelle di oggi e quelle che fino ad un anno fa non aveva compiuto - e, nello specifico, la revoca del decreto che riconosce la sovranità moldava in Transnistria. Dove la situazione è molto simile a quella del Donbass. Anche lì da molto tempo c'è una contesa tra la Moldavia e la Russia, anche lì c'è un'area russofona che non vuole saperne di stare con la Moldavia.
Putin, in sostanza, lungi dal considerarsi sconfitto, come molti - anche in orbita filorussa - credono, ha compiuto una mossa che, di fatto, costituisce un rilancio della sua azione. Che non significa necessariamente che sia un'azione di forza, ma può essere anche un bluff. Di fatto, quella che si sta giocando da un anno, più che essere una guerra, è una partita a poker. Entrambe le parti in causa si giocano praticamente tutto ciò che hanno: soldi, influenza, potere. E dunque, capire quest'ultima mossa non è possibile se non basandosi proprio sul fascino - talvolta sinistro, considerando quante famiglie finiscono sul lastrico - della componente psicologica del poker, laddove a volte capita che il pokerista bluffi perché non ha le carte e allora rilancia sperando che l'avversario ci caschi. E a volte capita che l'avversario "vede" e chi bluffa abbia in mano solo scartine. Può darsi che sia questo il caso. Del resto, in questi mesi siamo stati travolti da commenti che dipingevano Putin ad un passo dalla vittoria, altri che lo vedevano ormai prossimo alla sconfitta. Quindi, che questa sia soltanto la mossa disperata di un bluffatore che si vede ormai prossimo alla sconfitta, non è certo da escludere.
Tutto questo è durato otto anni fin quando un giorno Putin, probabilmente avendo osservato proprio con il ritiro degli americani dall'Afghanistan ma anche con le difficoltà siriane, che gli Stati Uniti sono in fase di dismissione, ha deciso di intervenire per risolvere definitivamente la questione del Donbass, avendo cura - pena la galera per chiunque la considerasse una guerra - di definirla come Operazione Speciale.
Fin qui i fatti, incontestabili. Ma allora perché qui da noi si parla di guerra in Ucraina come se fosse scoppiata un anno fa? Per una ragione semplice. Gli Stati Uniti hanno bisogno che l'Occidente non si accorga della loro nuova fase isolazionistica, perché se si diffondesse nell'opinione pubblica la convinzione che gli americani non hanno più un peso tale da risolvere le questioni internazionali una volta e per tutte, inizierebbe un tana liberatutti che porterebbe alla fine dell'Occidente, del tutto analogo a quando la perestroika, il crollo del Muro di Berlino e la fine, a distanza di pochi giorni, del Comecon e del Patto di Varsavia, certificarono la fine della forza dell'URSS e, pochi mesi dopo, la fine dell'URSS stessa.
Definire quello in Ucraina come "sostegno degli americani" fa ridere i polli: in altri tempi, gli americani avrebbero mandato, da subito, aerei e soldati. Se viceversa si sono, stavolta, astenuti, è perché sono consapevolissimi che una degenerazione della situazione possa portare ad una guerra che potrebbero anche ritrovarsi sul proprio territorio.
Questa è una premessa di fondamentale importanza perché può spiegare le mosse di Putin - quelle di oggi e quelle che fino ad un anno fa non aveva compiuto - e, nello specifico, la revoca del decreto che riconosce la sovranità moldava in Transnistria. Dove la situazione è molto simile a quella del Donbass. Anche lì da molto tempo c'è una contesa tra la Moldavia e la Russia, anche lì c'è un'area russofona che non vuole saperne di stare con la Moldavia.
Putin, in sostanza, lungi dal considerarsi sconfitto, come molti - anche in orbita filorussa - credono, ha compiuto una mossa che, di fatto, costituisce un rilancio della sua azione. Che non significa necessariamente che sia un'azione di forza, ma può essere anche un bluff. Di fatto, quella che si sta giocando da un anno, più che essere una guerra, è una partita a poker. Entrambe le parti in causa si giocano praticamente tutto ciò che hanno: soldi, influenza, potere. E dunque, capire quest'ultima mossa non è possibile se non basandosi proprio sul fascino - talvolta sinistro, considerando quante famiglie finiscono sul lastrico - della componente psicologica del poker, laddove a volte capita che il pokerista bluffi perché non ha le carte e allora rilancia sperando che l'avversario ci caschi. E a volte capita che l'avversario "vede" e chi bluffa abbia in mano solo scartine. Può darsi che sia questo il caso. Del resto, in questi mesi siamo stati travolti da commenti che dipingevano Putin ad un passo dalla vittoria, altri che lo vedevano ormai prossimo alla sconfitta. Quindi, che questa sia soltanto la mossa disperata di un bluffatore che si vede ormai prossimo alla sconfitta, non è certo da escludere.
Ma se, viceversa, si scoprisse - e non si può escludere nemmeno questo - che Putin ha in mano un poker d'assi, per l'Occidente sarebbero guai seri.