Chiunque critichi l'ambiente dove è nato e cresciuto, quand'anche avesse validissime ragioni per farlo, viene visto come uno che sputa nel piatto dove mangia. Come osi criticare la tua famiglia? La tua casa? Il tuo lavoro?
Infatti l'espressione "sputare nel piatto dove si è mangiato" indica spregiativamente proprio tutti coloro che criticano aspramente il sistema di cui si nutrono. Questa critica parte da un presupposto che è molto semplice: il sistema in cui ci si trova è quello che è e non si può cambiarlo in alcun modo. Ma soprattutto: fuori è molto peggio, quindi tieniti quello che hai e non provare a cambiarlo. Allo stesso modo, quando si tratta di criticare l'Occidente, si parte dal presupposto che sì ok abbiamo i nostri problemi ma dato che fuori ci sono "gli altri" che sono molto peggio, allora meglio tenersi le nostre piaghe.
Sembra un ragionamento ineccepibile e imparabile. E non è né l'uno né l'altro.

Prendiamo due pazienti: uno ha un diabete né troppo grave né troppo lieve, l'altro ha un tumore al pancreas con una prognosi infausta. Ho scelto appositamente queste due malattie proprio perché il diabete predispone al tumore pancreatico. Sicuramente chi ha il diabete sta meglio di chi ha il tumore al pancreas, ma sarebbe intelligente dire che non bisogna curare la propria malattia soltanto perché si sta meglio di chi ha il tumore al pancreas? No, sarebbe profondamente stupido: ma è esattamente l'atteggiamento dell'occidentalista ideologico, quello di pensare che poiché al di fuori della propria area politica e culturale vi sono posti e realtà politiche affette da "tumori pancreatici", allora si possa tranquillamente continuare a cicalare come se niente fosse, senza preoccuparsi del proprio "diabete". Tanto più che per mettere a confronto i due pazienti, bisogna introdurre un'ulteriore variabile: il diabetico continua ad ingozzarsi di dolci, a non fare attività fisica, a trascurarsi. Il paziente oncologico invece cerca in tutti i modi di trovare nuove cure, nel frattempo si chiede come cercare di superare la propria malattia. Il diabetico sta finendo i soldi per le proprie medicine ed è fortemente indebitato, mentre il paziente oncologico ha a disposizione tantissimi fondi per investire nella ricerca e provare a trovare la cura che lo guarirà. Chi tra i due malati, a questo punto, ha più prospettive?

Il diabetico crede che il fatto che la propria malattia non gli dia sintomi particolarmente invalidanti sia una sorte che non possa mutare, non rendendosi conto che se il suo diabete continua ad essere trascurato, inizierà ad avere problemi di impotenza, di cecità, addirittura di vedersi amputati gli arti, e che dunque alla fine starà peggio del paziente oncologico. Pensa che tanto quell'altro sta peggio perché il tumore al pancreas è incurabile, non rendendosi conto che nell'ultimo secolo tante malattie incurabili sono infine diventate curabili e guaribili.
E dunque, fuor di metafora, è meglio vivere in Occidente oppure in Russia, in Cina, in Venezuela o nei paesi islamici? Se ci limitassimo al nostro tenore di vita, non si potrebbe che rispondere "Meglio l'Occidente tutta la vita". Ma è questo il punto: l'occidentale pensa che "essere il miglior posto dove vivere" sia una condizione eterna e immutabile e che quelli che stanno peggio sono destinati a vivere sempre peggio. Dunque, la vera domanda è: questo tenore di vita è sostenibile? Tutto il patrimonio di diritti sociali e civili che giustificano il senso di unicità e di primazia morale che l'Occidente si attribuisce, ha i requisiti per durare ancora molto? La risposta, negativa, la stiamo vedendo proprio in questi anni. Perché il dato che molti occidentalisti proprio non vogliono recepire è che i diritti costano. La difesa della proprietà privata, della libertà di parola, dello stato sociale, senza soldi per poter pagare chi è tenuto a salvaguardarla - amministrandola, proteggendo chi si vede violati questi diritti - è destinata ad essere indebolita. Ed è quello che stiamo vedendo proprio in questa legislatura che vede un'Italia con sempre meno soldi in cassa mettere gli italiani di fronte ad un bivio: "Cari italiani voi un tempo avevate questi diritti, ma ora non ci sono più soldi per garantirli. Scegliete a quale diritto rinunciare". Questa è esattamente la dialettica in atto oggi.

Criticare l'Occidente non significa negare che altrove le cose stiano peggio ma denunziare una tendenza all'impoverimento e alle pulsioni autoritarie che non vede soltanto chi non vuole vedere. Dopodiché certo c'è il diabetico che pensa che solo perché non gli si vede ancora l'ittero negli occhi, allora la sua malattia non possa sfociare in un tumore pancreatico. Mentre il tumore al pancreas, che oggi è normalmente incurabile, tra una decina d'anni forse sarà curabile.
Le analisi non si fanno interpretando l'oggi ma vedendo le tendenze. E la tendenza all'impoverimento sociale, civile ed economico dell'Occidente mi sembra un fatto incontestabile. Così com'è facile prevedere una vita piuttosto corta al diabetico che continua ad ingozzarsi di cassate e gelati.

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Non sono pienamente d'accordo. L'Occidente non ha un diabete mal curato ma è un malato terminale; ciò che aggrava il suo già precario stato di salute è la presunzione, la spocchia, l'annullamento della spiritualità in nome di un materialismo esasperato, la totale visione di futuro poiché ciò che conta (in occidente) è il "qui e ora".
E si, l'occidentale risvegliato può e deve criticare L'Occidente, poiché nessuno lo conosce meglio di lui.
 
Occidente sempre più tardosovietico: disastri ecologici (Ohio); leadership improbabili (Biden è un Cernenko ridanciano); pauperizzazione inarrestabile; crescente insofferenza nei confronti della Nato (versione glamour del patto di Varsavia); sostanziale isolamento internazionale (l'euramerica è diventata sinonimo di perniciosa balordaggine veterocoloniale, un dinosauro in abiti casual); oligarchie che sanno solo creare emergenze per vendere soluzioni farlocche (robe da imbonitori del far west); vertici capaci di qualsiasi nefandezza (e qui mi sa che hanno superato gli omologhi d'oltrecortina).
 

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Franco Marino
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