Ho scritto più volte che il covid va ringraziato perché ha fatto uscire l'umanità - quella positiva e quella negativa - per quello che è e perché ha svelato come non ci sia alcuna differenza tra lo Stato e la Mafia. E' stato un momento di verità che ha fatto luce di tutte le fesserie che ci erano state raccontate fino a quel momento. Tra le tante, quella della fantomatica lotta ad un fantomatico gruppo di delinquenti semianalfabeti che, mentre vengono cercati da tutto il mondo, mandano tranquillamente a scuola, nelle loro città di origine i loro figli, senza che a nessuno venga l'idea di pedinarli e andare a prenderli nelle loro case di (finta) latitanza. Questa farsa si ripete costantemente ogni volta che ci raccontano dell'arresto di un grande boss.
Per inciso, mia madre era originaria di Castelvetrano, paese di Matteo Messina Denaro. Quindi diciamo che conosco tutto di quel posto. Tutti in paese sapevano dove fosse. Tutto il paese aveva legami economici e politici con quel boss. Lo avrebbero potuto prendere in qualsiasi momento, se qualcuno si fosse piazzato a sorvegliare i suoi numerosi legami. Davvero qualcuno può credere alla bubbola che sia stato cercato affannosamente per trent'anni? Se questa poteva apparire una minchiata già da prima del covid, col covid la minchiata è assurta al massimo della sua effettiva minchiosità. E nessuno si è mai posto una domanda: come è possibile che un sistema che si vanta di intercettare i movimenti di chiunque e di inseguirlo col lanciafiamme, lascia che intere piazze di spaccio continuino a lavorare indisturbate e che latitanti che hanno veri e propri imperi economici, vengano catturati dopo solo trent'anni? La spiegazione chiara ed evidente è una sola: questi latitanti godono di protezioni da parte delle istituzioni, le quali si servono di loro per far girare denaro, per riciclare i proventi della vendita di droga. E se uniamo i veri punti e vediamo come le organizzazioni criminali siano state foraggiate dagli Stati Uniti per "liberare" l'Italia dal fascismo, se scopriamo che la CIA *dappertutto* (tranne che nei paesi sottoposti alla sua "influenza") è sospettata di essere dietro il business internazionale della droga, compreso quello dei paesi sotto la sua influenza, se scopriamo che guarda caso in un anno, il 1992, saltano Craxi, Andreotti - che stavano mettendosi d'accordo per fare riforme costituzionali che dessero una totale autonomia politica all'Italia - e Falcone che era andato in Svizzera a cercare di scoprire come funzionasse il riciclaggio di denaro, forse ci facciamo anche un'idea di cosa sia davvero la mafia e di chi siano i protettori locali e internazionali, istituzionali e non. Magari ci facciamo anche un'idea dei tanti corvi e serpenti delle procure, come quelli che raccontarono alla mafia che Livatino, nome di cui si parla poco, stava per fare fuori tutta la mafia della Sicilia Orientale. Dei tanti che sapevano il percorso segreto di Borsellino dalla sua casa al mare a quella della madre dove poi fu fatto fuori.

Ma questo spiega il problema istituzionale. E le istituzioni, per quanto colluse, criminali e autoritarie, camminano sulla gente. E anche qui il covid ha compiuto un'operazione verità, ossia dirci, dietro mille pose gladiatorie, quanti codardi vivano tra noi. Perché occorrerebbe dire finora una verità poco popolare che nessuno ha il coraggio di dire: la mafia è figlia della gente comune. Sarebbe troppo comodo farne una questione di brutti ceffi che vengono a minacciarvi e voi, dimessi, pagate perché lo stato non ce la fa ad aiutarvi. E' una balla da mentecatti.
Certo, chi avesse visto Così Parlò Bellavista di Luciano De Crescenzo e si ricordasse la scena iconica del cavalluccio rosso, penserebbe che le cose stiano come in quel film: un signore borghese, interpretato dallo scrittore/attore Riccardo Pazzaglia, che in quel momento arringa una folla di persone alle quali racconta lo scippo appena subito da un ragazzino, finché quest'ultimo ritorna sul luogo del misfatto davanti a tutti accompagnato dal boss locale il quale intima al ragazzino di andare a riprendere la collanina della mamma defunta, zittendo minacciosamente il signore del cavalluccio, tra lo sguardo impaurito della gente attorno a lui.
Tutte le volte che vedo quella scena, ripenso a quando
nel paesino dove ho vissuto i primi quindici anni della mia vita, un gruppo di camorristi mandati al confino da qualche giudice imbecille, si mise a terrorizzare i commercianti del posto: i quali un bel giorno, spalleggiati dalla popolazione - a gruppi di 5000 persone, armate di bastoni e di pietre, ma anche di pistole - si ruppero il cazzo e decisero di mettersi assieme e di andare ad incendiare le auto e le case dove questi vivevano. Risultato? I camorristi se ne scapparono e nessuno ebbe mai più la balzana idea di mandare delinquenti al confino da quelle parti. La società civile si ribellò, in massa, e la camorra lì fu sconfitta. La Polizia non poté farci nulla - anche perché qualcuno fece sapere ai dirigenti di quelle stazioni che se qualcuno avesse osato fare qualcosa, la stessa sorte sarebbe stata riservata anche a loro. Ovviamente i media non ne parlarono minimamente di quella rivolta. Zero. Il segnale sarebbe stato troppo significativo e avrebbe rotto tutto quel meccanismo di problematizzazione costante su cui si fonda l'Antimafia italiana.
Chiunque conosce la reale psicologia della folla, sa che la scena del cavalluccio, che in teoria dovrebbe sottolineare la cattiveria del boss e la debolezza della "povera gente", è in realtà poco credibile. Quel boss, in una colluttazione col capannello accorso ad ascoltare la dinamica dello scippo, anche armato, essendo da solo, avrebbe facilmente perso. Che tutti avessero paura di lui, non regge. Lo avrebbero fatto fuori facilmente. I boss sono lì perché "fanno comodo" a quella stessa gente che guardava impaurito il boss, casomai perché un minuto dopo quello stesso boss si interessava di un loro congiunto malato o di un loro figlio che non trova lavoro. Sarebbe ora di dire che le mafie sono potenti non perché i latitanti sono chissà quanto forti, coraggiosi o capaci di sfuggire alle forze dell'ordine, ma perché garantiscono dei servizi che lo stato non è nelle condizioni di dare e permettono allo Stato di mantenere il popolo ad un livello di codardia media. Se lo Stato davvero volesse combattere la mafia, vedremmo fiction dove il boss viene preso a botte dalla gente, e il messaggio a quel punto sarebbe chiarissimo e cioè: "Il boss non è nulla di diverso da un bullo. Ma, se vi ribellate, il boss è perfettamente battibile: per quanto forte fisicamente e armato, non potrebbe mai vincere una guerra con un popolo incazzato" e questo spiega un altro punto: il successo delle mafie è figlio dell'incapacità da parte dei cittadini di preferire la libertà, con tutti i suoi rischi, all'assistenza da parte del padrino.

Sono trent'anni che assistiamo agli arresti di grandi boss. Ma da trent'anni le mafie continuano a proliferare indisturbate, perché le mafie sono l'espressione della codardia di un popolo e consentono allo Stato di imporre quella forza che le leggi della democrazia di uno stato di diritto non potrebbero mai consentire. Non esiste mafia che possa sopravvivere senza il consenso codardo della gente. E questo sarebbe ora che qualcuno lo dicesse, smettendola di riversare sulle persone la consueta farsa del boss imprendibile che lo Stato non riesce a catturare perché questo boss è troppo abile. Stiamo parlando di quello stesso Stato che però, quando vuole, quando gli conviene, è in grado di ridurre all'obbedienza chiunque. Di uno Stato capace di mobilitare interi schieramenti di intellettuali, di artisti, di poliziotti e Carabinieri per un'influenza del cazzo, mentre lascia che intere piazze di spaccio distribuiscano veleno alla gente, facendo miliardi di euro.
La mafia non verrà mai sconfitta fin quando non si prenderà serenamente atto che la storia della mafia è, da ottant'anni, la storia di un paese codardo e di una popolazione di codardi connivente con i boss. Che è poi, esattamente, la stessa storia del covid. Chi ha gestito la pandemia del resto si è comportato come i boss mafiosi: ha dapprima incendiato il paese (lockdown), poi ha chiesto il pagamento del pizzo (vaccino) sotto forma di rappresaglie (green pass).
Il meccanismo è identico. E non è certo l'arresto di un boss che tutti sapevano dove fosse, a spezzarlo, come non saranno certo le fantomatiche commissioni di inchiesta sul Covid a togliere di mezzo la mafia sanitaria.
A spezzare il meccanismo sarà soltanto il coraggio della gente.

Comments

Complimenti! Mirabile articolo, che espone chiaramente la dinamica mafiosa; queste cose ahimè non si possono dire e men che meno scrivere, abbiamo fulgidi esempi di come il potere ti annienta.Questo non vuol giustificare la codardia conclamata del popolo italiano, il detto " tengo famiglia" esprime perfettamente questo concetto. Per il resto concordo perfettamente con gli altri commentatori: in questo momento faceva comodo al sistema questa " impresa" , anche x nascondere altre nefandezze , solo i grulli possono credere ai 30 anni di latitanza...
 
Uno Stato forte "nazionalizza" la mafia. Uno Stato fragile e abusivo la usa come paravento e ragione d'essere. Lo Stato debole e abusivo è la cacca, i mafiosi le mosche che le ronzano intorno.
 
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Io trovo questi arresti di vecchi latitanti, ormai da pensione e probabilmente già sostituiti al vertice della propria cosca, delle solenni prese per il culo ad usum delphini. E ho i miei personalissimi motivi. Nel 2011, qualche giorno dopo l'uccisione di Bin Laden, dovevo andare a Londra. La sera prima scrissi un post ironico in cui mi dicevo in partenza per Kabul ad incontrare il mullah Omar. La mattina dopo, per la prima volta in vita mia, mi fermarono al check-in e mi ispezionarono tutto il bagaglio.
Ora, capite perché trovo ridicolo che ci abbiano messo trent'anni a scovare un capomafia che stava sempre in Sicilia e da un anno andava regolarmente in una clinica privata?
 
E’ la lettura in assoluto più veritiera e accreditabile di questo fatto. La gente , basta che sia “ assistita” rinuncia alla propria dignità e quindi alla propria libertà. Bravo!
 

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Franco Marino
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