Il mio ex-direttore sostiene (giustamente) che per poter recensire un libro bisogna leggerlo fino all'ultima virgola. Il che è giusto quando non si tratta di libri che, per il semplice fatto di esistere, non si rendano degni di essere stroncati. Infatti, l'autobiografia di Harry non l'ho letta, il libro non l'ho acquistato e tuttavia non ne ho bisogno per sapere che è qualcosa che non vale minimamente la pena leggere. E allora perché parlarne? Per introdurre un concetto un po' più complesso.
Ogni istituzione diventa gloriosa non per un lancio di dadi ma perché artefice di imprese tali da meritarle la fama a cui assurge. E la monarchia inglese, al netto delle numerosissime ombre, è una delle istituzioni più gloriose della storia dell'umanità. In quanto tale, essa esemplifica lo Stato che, mentre nelle democrazie, vive del culto di se stesso, nelle monarchie anche costituzionali si identifica totalmente con la famiglia reale. In quanto tale, al monarca sono "vietati" i comportamenti delle persone comuni. Se Elisabetta è stata una grande regina non è stato certo per le sue intuizioni politiche quanto per la sua capacità di non dare scandalo con comportamenti inappropriati. Una carica di questo tipo regala onori e oneri. L'onore di non dover mai preoccuparsi di arrivare a fine mese e l'onere di dover essere sempre impeccabile nel rapporto col pubblico.
Ecco perché Diana è stata una figura negativa: sicuramente iconica per certi versi, era una persona totalmente priva del reale senso di cosa significasse essere una principessa - e dunque una futura regina - e dunque ecco le gaffe in pubblico, i pettegolezzi, gli atteggiamenti glamour, le relazioni extraconiugali (peraltro pienamente in linea con quelle del marito) l'insofferenza nei confronti degli impegni pubblici. Harry, che a differenza di William - che ha preso l'aspetto aggraziato della madre e la serietà del padre - ha preso la scarsa serietà della madre e l'aspetto del padre, sembra proseguire sulla stessa falsariga della madre: una totale mancanza di senso del reale. Attraverso gli spizzichi e bocconi che mi giungono dal web, pare infatti che Harry, alla maniera della madre - che però almeno si circondava di uno stuolo di ruffiani dell'arte e dell'intelligentia per coltivare la propria immagine - abbia voluto togliersi dei sassolini, descrivendo la sua vita come un gigantesco Truman Show, raccontando cose tutt'altro che edificanti sulla propria famiglia - con la quale è palese la volontà di tagliare i ponti - oltre a costanti elegie rivolte alla sua dolce metà, Megan. Chi lo ha trascinato nell'abisso di quest'autobiografia non l'ha certo fatto perché Harry avesse, in sé, qualcosa da dire, ma perché probabilmente tira la volata a qualcuno che vuole colpire la monarchia britannica, da molti vista in Inghilterra come un relitto da consegnare alla storia. Quello che Harry non capisce è che se un giorno riuscisse nell'impresa di distruggere la monarchia, avrebbe segato lo stesso ramo su cui è posato. Tutto di ciò che gli è consentito di fare senza pagare le conseguenze che normalmente graverebbero sulla famiglia, è targato con lo stemma di famiglia. Se davvero crede che la sua adorata Megan gli stia accanto per virtù che esulino dalla propria illustre provenienza, il giorno in cui la monarchia venisse distrutta, farà un'amara scoperta, oltre a quelle che farebbe se si trovasse a dover lavorare per sopravvivere.
Naturalmente, nessuno descrive la vita all'interno di Buckingham Palace come un paradiso, ed è legittimo che qualcuno che si senta nel posto sbagliato, voglia tagliare i ponti. Lo fece Edoardo VIII, il quale non è che rifiutò una vita da cadetto ma anzi addirittura rinunciò alla monarchia. Solo che da quel momento si chiuse nel silenzio. Chiunque preferisse la libertà ai doveri nobiliari, è legittimato a farlo. In quel caso però sarebbe una cosa seria solo se uscisse da quella famiglia e, rifiutando ogni intervista, magari cambiandosi i connotati, lavorando come le persone normali, cioè con l'ansia di dover arrivare a fine mese, di fatto si ritirasse a quella vita privata tipica di un comune mortale. Questo significa la normalità, questo significa uscire dal Truman Show. Invece, con autobiografie rancorose come quella appena pubblicata, Harry nel tentativo di indebolire la propria famiglia, finirà per rafforzarla. Le persone di buon senso - che nel Regno Unito, per fortuna, sono maggioranza - non hanno bisogno di Harry per sapere che il principe Carlo o William non sono fenomeni di umanità e moralità, perché le famiglie reali sono notoriamente frigidaire. Ma forse proprio per questo sono istituzioni che durano: perché hanno un'idea della differenza tra l'essere persone normali che possono quindi permettersi comportamenti scandalosi perché lo scandalo viene annacquato dall'anonimato, e persone che invece rappresentano istituzioni millenarie, in cui persino un flatus ventris fuori posto può corromperne la credibilità.
Non vi è bisogno di leggere l'autobiografia di Harry per sapere due cose: che Harry è un fesso e che la sua autobiografia non merita di essere non solo comprata ma neanche letta a spizzichi e bocconi.
Ogni istituzione diventa gloriosa non per un lancio di dadi ma perché artefice di imprese tali da meritarle la fama a cui assurge. E la monarchia inglese, al netto delle numerosissime ombre, è una delle istituzioni più gloriose della storia dell'umanità. In quanto tale, essa esemplifica lo Stato che, mentre nelle democrazie, vive del culto di se stesso, nelle monarchie anche costituzionali si identifica totalmente con la famiglia reale. In quanto tale, al monarca sono "vietati" i comportamenti delle persone comuni. Se Elisabetta è stata una grande regina non è stato certo per le sue intuizioni politiche quanto per la sua capacità di non dare scandalo con comportamenti inappropriati. Una carica di questo tipo regala onori e oneri. L'onore di non dover mai preoccuparsi di arrivare a fine mese e l'onere di dover essere sempre impeccabile nel rapporto col pubblico.
Ecco perché Diana è stata una figura negativa: sicuramente iconica per certi versi, era una persona totalmente priva del reale senso di cosa significasse essere una principessa - e dunque una futura regina - e dunque ecco le gaffe in pubblico, i pettegolezzi, gli atteggiamenti glamour, le relazioni extraconiugali (peraltro pienamente in linea con quelle del marito) l'insofferenza nei confronti degli impegni pubblici. Harry, che a differenza di William - che ha preso l'aspetto aggraziato della madre e la serietà del padre - ha preso la scarsa serietà della madre e l'aspetto del padre, sembra proseguire sulla stessa falsariga della madre: una totale mancanza di senso del reale. Attraverso gli spizzichi e bocconi che mi giungono dal web, pare infatti che Harry, alla maniera della madre - che però almeno si circondava di uno stuolo di ruffiani dell'arte e dell'intelligentia per coltivare la propria immagine - abbia voluto togliersi dei sassolini, descrivendo la sua vita come un gigantesco Truman Show, raccontando cose tutt'altro che edificanti sulla propria famiglia - con la quale è palese la volontà di tagliare i ponti - oltre a costanti elegie rivolte alla sua dolce metà, Megan. Chi lo ha trascinato nell'abisso di quest'autobiografia non l'ha certo fatto perché Harry avesse, in sé, qualcosa da dire, ma perché probabilmente tira la volata a qualcuno che vuole colpire la monarchia britannica, da molti vista in Inghilterra come un relitto da consegnare alla storia. Quello che Harry non capisce è che se un giorno riuscisse nell'impresa di distruggere la monarchia, avrebbe segato lo stesso ramo su cui è posato. Tutto di ciò che gli è consentito di fare senza pagare le conseguenze che normalmente graverebbero sulla famiglia, è targato con lo stemma di famiglia. Se davvero crede che la sua adorata Megan gli stia accanto per virtù che esulino dalla propria illustre provenienza, il giorno in cui la monarchia venisse distrutta, farà un'amara scoperta, oltre a quelle che farebbe se si trovasse a dover lavorare per sopravvivere.
Naturalmente, nessuno descrive la vita all'interno di Buckingham Palace come un paradiso, ed è legittimo che qualcuno che si senta nel posto sbagliato, voglia tagliare i ponti. Lo fece Edoardo VIII, il quale non è che rifiutò una vita da cadetto ma anzi addirittura rinunciò alla monarchia. Solo che da quel momento si chiuse nel silenzio. Chiunque preferisse la libertà ai doveri nobiliari, è legittimato a farlo. In quel caso però sarebbe una cosa seria solo se uscisse da quella famiglia e, rifiutando ogni intervista, magari cambiandosi i connotati, lavorando come le persone normali, cioè con l'ansia di dover arrivare a fine mese, di fatto si ritirasse a quella vita privata tipica di un comune mortale. Questo significa la normalità, questo significa uscire dal Truman Show. Invece, con autobiografie rancorose come quella appena pubblicata, Harry nel tentativo di indebolire la propria famiglia, finirà per rafforzarla. Le persone di buon senso - che nel Regno Unito, per fortuna, sono maggioranza - non hanno bisogno di Harry per sapere che il principe Carlo o William non sono fenomeni di umanità e moralità, perché le famiglie reali sono notoriamente frigidaire. Ma forse proprio per questo sono istituzioni che durano: perché hanno un'idea della differenza tra l'essere persone normali che possono quindi permettersi comportamenti scandalosi perché lo scandalo viene annacquato dall'anonimato, e persone che invece rappresentano istituzioni millenarie, in cui persino un flatus ventris fuori posto può corromperne la credibilità.
Non vi è bisogno di leggere l'autobiografia di Harry per sapere due cose: che Harry è un fesso e che la sua autobiografia non merita di essere non solo comprata ma neanche letta a spizzichi e bocconi.
I fessi non meritano la minima attenzione.