Sia perché le loro competenze sono superiori alle mie - dalle mie parti si dice "fattela con chi è meglio di te e pagagli le spese" - e sia perché il flusso degli eventi si prestava ad ipotesi di difficile interpretazione, sugli eventi in Brasile ho preferito lasciare il campo libero a latinoamericanisti come il prezioso @Gabriele Germani o chi, come @vonTannenberg, per esperienza professionale o passione personale ha avuto a che fare con questi posti. Ma ci si può comunque fare un'idea di quanto stia accadendo, cercando di trarre considerazioni che rimangano sul generale. Di fronte a rivolte come quella dei portuali di Trieste, dei camionisti in Canada, di intellettuali e professori in Cina contro le follie pandemiche o anche assalti come quello a Capitol Hill o al governo Lula, la persona di buonsenso rimane indifferente, indipendentemente dal fatto che vi sia stata una vera rivolta oppure quella di Lula sia un colpo di mano per far fuori alcune mele marce del suo sistema.
Quando, infatti, si pronuncia la parola rivoluzione, molti si immaginano barricate, scontri di piazza, assalti ai palazzi del potere. Quelle invece sono rivolte. Che di solito o non concludono nulla, risolvendosi in un inutile bagno di sangue, oppure sono guidate dall'alto per scopi che non hanno nulla a che fare con lo spirito di facciata. Chi per esempio partecipò in buonafede alle primavere arabe nel 2011 in nome della libertà, nemmeno immaginava che l'obiettivo fosse di sostituire classi dirigenti laiche, con figure dell'oltranzismo islamico o col caos. Eppure è esattamente quello che è avvenuto.
La rivolta è un evento scatologico non meno stupido di un parricidio. Il figlio che ammazza il padre, la madre o addirittura entrambi i genitori perché gli impediscono di vivere come vorrebbe - magari genitori anche prepotenti e violenti, perché no? - quando non è uno psicopatico, è un idiota inebriato dalla prospettiva di una libertà senza regole. Quando riesce a farla franca, cioè quasi mai, dovrà - e non potrà farne a meno - gestire quel che prima gestivano i tanto odiati genitori, finendo per rovinarsi, o addirittura per dipendere da gente che nei confronti di quell'orfano non ha nemmeno i doveri imposti dalla legge. Il figlio intelligente, che legittimamente vuole l'indipendenza, se la conquista, costruendo le basi del proprio avvenire, per poi smarcarsi dal genitore che si ritrova così disinnescato proprio da quel figlio. Se poi quei genitori, non per il suo bene ma per il proprio, tentano di sabotarlo, allora il figlio è legittimato magari non a farli fuori ma a togliere loro la possibilità di nuocerli. Questa si chiama rivoluzione. E una delle cose che ho capito quando le circostanze della vita mi hanno fatto diventare di fatto il vertice della mia famiglia è l'estrema difficoltà psicologica prima ancora di quella materiale di questa condizione. E se questo è vero quando parliamo di cose personali, figurarsi cosa accade quando invece di pagare tasse e bollette o partecipare a riunioni di condominio, si deve contrattare il prezzo del gas con autocrati che certamente non fanno né sconti né regali, rispettare vincoli comunitari, per giunta ereditando situazioni economiche spesso deficitarie. E figurarsi quando, invece di subentrare al posto del proprio padre, si prende il posto di giganti della politica e della finanza, alla testa di un paese complesso e difficile come l'Italia, o ancor più il Brasile, o ancor più la Cina. Il problema delle rivolte, infatti, è che non vanno oltre i piagnistei di figli viziati orfani di quel Leviatano assurto a patrigno. La rivoluzione è, invece, un lavoro di costruzione, di affrancamento, di emancipazione. Che parte da un discorso analogo a quello del rivoltoso parricida: un padre/padrone che vuole schiavizzarmi, ma che, nel momento in cui voglio liberarmene, devo anzitutto dimostrare a me stesso che posso fare a meno di lui, devo fare in modo di non finire in galera. Tutte cose di grande complessità perché, una volta assisi al trono di totali responsabili della propria vita, non si ottiene soltanto il bello della libertà ma anche il suo lato oscuro, quello della responsabilità totale di ogni cosa.
Se il proprio paese è nella merda e si ha un'idea per rovesciare chi l'ha messo in quella situazione, è giusto non solo provarci ma anche spargere sangue, ma sempre nella consapevolezza che una rivoluzione non è una cena di gala ma un evento sempre drammatico, sempre caratterizzato da azioni criminose - per la semplice ragione che ci si propone di sovvertire un ordine statuale, sostituendolo con un altro - e dunque sempre rischiosissimo, il cui fine è ricostruire un ordine. E' per questo motivo che, pure essendo da sempre anticomunista, nondimeno ammiro chi, come Lenin, Mao o Fidel Castro, ha organizzato rivoluzioni che hanno cambiato la storia dei propri paesi, costruendo istituzioni fondate su ideologie nocive, certo, ma che si reggevano su una formidabile complessità strutturale: e già questo dovrebbe suggerire quanto sia complesso cambiare le cose.
Pensare che le sorti di un paese possano cambiare con azioni sconsiderate e scontri di piazze, è da stupidi. O da persone infiltrate da altri poteri, cosa quest'ultima che, personalmente, non vedo nelle ultime rivolte. Sì, è vero, di solito le rivolte degli ultimi anni hanno sempre avuto il marchio della CIA, ma non credo sia questo il caso: sia perché Bolsonaro, per effetto della sua indipendenza politica intellettuale, non gode più della stima degli Stati Uniti (ha evidentemente capito che gli americani quando vogliono importare il libero mercato nel mondo, vogliono solo il libero mercato americano) sia perché in una situazione in cui l'ingresso nella querelle tra Russia e Ucraina di paesi per ora neutrali può cambiare l'entità della partita e dunque allarmare un gigante come il Brasile sarebbe da fessi. E gli americani tutto sono tranne che fessi.
Quando, infatti, si pronuncia la parola rivoluzione, molti si immaginano barricate, scontri di piazza, assalti ai palazzi del potere. Quelle invece sono rivolte. Che di solito o non concludono nulla, risolvendosi in un inutile bagno di sangue, oppure sono guidate dall'alto per scopi che non hanno nulla a che fare con lo spirito di facciata. Chi per esempio partecipò in buonafede alle primavere arabe nel 2011 in nome della libertà, nemmeno immaginava che l'obiettivo fosse di sostituire classi dirigenti laiche, con figure dell'oltranzismo islamico o col caos. Eppure è esattamente quello che è avvenuto.
La rivolta è un evento scatologico non meno stupido di un parricidio. Il figlio che ammazza il padre, la madre o addirittura entrambi i genitori perché gli impediscono di vivere come vorrebbe - magari genitori anche prepotenti e violenti, perché no? - quando non è uno psicopatico, è un idiota inebriato dalla prospettiva di una libertà senza regole. Quando riesce a farla franca, cioè quasi mai, dovrà - e non potrà farne a meno - gestire quel che prima gestivano i tanto odiati genitori, finendo per rovinarsi, o addirittura per dipendere da gente che nei confronti di quell'orfano non ha nemmeno i doveri imposti dalla legge. Il figlio intelligente, che legittimamente vuole l'indipendenza, se la conquista, costruendo le basi del proprio avvenire, per poi smarcarsi dal genitore che si ritrova così disinnescato proprio da quel figlio. Se poi quei genitori, non per il suo bene ma per il proprio, tentano di sabotarlo, allora il figlio è legittimato magari non a farli fuori ma a togliere loro la possibilità di nuocerli. Questa si chiama rivoluzione. E una delle cose che ho capito quando le circostanze della vita mi hanno fatto diventare di fatto il vertice della mia famiglia è l'estrema difficoltà psicologica prima ancora di quella materiale di questa condizione. E se questo è vero quando parliamo di cose personali, figurarsi cosa accade quando invece di pagare tasse e bollette o partecipare a riunioni di condominio, si deve contrattare il prezzo del gas con autocrati che certamente non fanno né sconti né regali, rispettare vincoli comunitari, per giunta ereditando situazioni economiche spesso deficitarie. E figurarsi quando, invece di subentrare al posto del proprio padre, si prende il posto di giganti della politica e della finanza, alla testa di un paese complesso e difficile come l'Italia, o ancor più il Brasile, o ancor più la Cina. Il problema delle rivolte, infatti, è che non vanno oltre i piagnistei di figli viziati orfani di quel Leviatano assurto a patrigno. La rivoluzione è, invece, un lavoro di costruzione, di affrancamento, di emancipazione. Che parte da un discorso analogo a quello del rivoltoso parricida: un padre/padrone che vuole schiavizzarmi, ma che, nel momento in cui voglio liberarmene, devo anzitutto dimostrare a me stesso che posso fare a meno di lui, devo fare in modo di non finire in galera. Tutte cose di grande complessità perché, una volta assisi al trono di totali responsabili della propria vita, non si ottiene soltanto il bello della libertà ma anche il suo lato oscuro, quello della responsabilità totale di ogni cosa.
Se il proprio paese è nella merda e si ha un'idea per rovesciare chi l'ha messo in quella situazione, è giusto non solo provarci ma anche spargere sangue, ma sempre nella consapevolezza che una rivoluzione non è una cena di gala ma un evento sempre drammatico, sempre caratterizzato da azioni criminose - per la semplice ragione che ci si propone di sovvertire un ordine statuale, sostituendolo con un altro - e dunque sempre rischiosissimo, il cui fine è ricostruire un ordine. E' per questo motivo che, pure essendo da sempre anticomunista, nondimeno ammiro chi, come Lenin, Mao o Fidel Castro, ha organizzato rivoluzioni che hanno cambiato la storia dei propri paesi, costruendo istituzioni fondate su ideologie nocive, certo, ma che si reggevano su una formidabile complessità strutturale: e già questo dovrebbe suggerire quanto sia complesso cambiare le cose.
Pensare che le sorti di un paese possano cambiare con azioni sconsiderate e scontri di piazze, è da stupidi. O da persone infiltrate da altri poteri, cosa quest'ultima che, personalmente, non vedo nelle ultime rivolte. Sì, è vero, di solito le rivolte degli ultimi anni hanno sempre avuto il marchio della CIA, ma non credo sia questo il caso: sia perché Bolsonaro, per effetto della sua indipendenza politica intellettuale, non gode più della stima degli Stati Uniti (ha evidentemente capito che gli americani quando vogliono importare il libero mercato nel mondo, vogliono solo il libero mercato americano) sia perché in una situazione in cui l'ingresso nella querelle tra Russia e Ucraina di paesi per ora neutrali può cambiare l'entità della partita e dunque allarmare un gigante come il Brasile sarebbe da fessi. E gli americani tutto sono tranne che fessi.
Quel che è accaduto in Brasile, in Cina, a Trieste, in Canada, è solo l'azione estemporanea di gente che non sa nulla di rivoluzioni, di quanto sia complesso cambiare la struttura di uno stato, di una società, di come rivoluzionare lo status quo parta anzitutto dalla costruzione di ordine parallelo e alternativo e di come nel caos vinca sempre chi ha un'idea di come si gestisce l'esistente. E purtroppo, il vero problema oggi non è quello di costruire un ordine sul caos attuale, ma di sovvertire un ordine che, perlomeno nei disegni di chi l'ha costruito, funziona sin troppo bene, e di proporre un'idea alternativa di società che funzioni, ospedali per chi si sente male e non vuole finire nei lazzaretti fatti apposta per uccidere i non vaccinati, scuole per chi vuole sottrarre i propri figli dalle follie gender.
Niente che ci si possa aspettare dal faccione da bonaccione ma fondamentalmente fesso di Puzzer o da nerboruti camionisti canadesi.