Ieri sono andato alla recita di Natale di mia figlia. Vivendo in un rione popolare della periferia Est di Napoli, non mi aspetto certo vette di intelligenza e cultura nella maggioranza delle mamme e dei papà, tra i quali dilagano accenti e vestiari che sembrano attingere alle atmosfere del famigerato Castello delle Cerimonie. Ma in generale, dilaga in molti genitori, anche teoricamente evoluti, una certa nostalgia per la scuola frequentata da alunni. Invece, quando ho visto tutti quei banchi rigorosamente distanziati come da pandemiche ordinanze, non ho provato nessuna farfalla allo stomaco da ritorno ai bei tempi, perché per me i bei tempi per ciò che riguarda la scuola non sono mai esistiti. Ci sono sicuramente ambiti in cui siamo peggiorati (musica, sanità, sport) ma la scuola è sempre stata, per me, anche da ragazzino, un luogo dell'orrore. Non l'orrore di brutti voti né di molestie sessuali da parte di questo o di quel maestro o professore (mi sono risparmiato, per fortuna, entrambe) ma della normalità e dell'ufficialità con cui si potevano dire e fare cose orribili che sul momento, educato a trovarle normali, l'alunno non nota, ma di cui si accorge quando diviene grandicello e casomai, diventato padre, ritorna a dover frequentare il mondo della scuola, accorgendosi di come questa istituzione sia l'epitome di ciò che rifiutava sempre di diventare: un soldatino acriticamente obbediente a burocrati che si davano le arie di formatori culturali, pur non essendo né formatori né culturali. La scuola è, anch'essa, ulteriormente peggiorata negli anni, ma il reazionarismo è stupido come il modernismo progressista. Sia il progresso che la conservazione sono due cose utilissime: alcune cose bisogna farle progredire quando non addirittura cambiarle, altre cose vanno conservate. E' quando diventano ideologia che sono pericolose.
E' una premessa che serve ad introdurre l'attualità di un governo che nasce all'insegna del reazionarismo. Deve essere successo che qualcuno, osservando su Facebook il successo di pagine del tipo "Come eravamo negli anni '60, '70, '80, quando non c'erano i telefonini, quando si giocava a pallone scalzi in mezzo alla strada, quando c'erano Maradona, Van Basten, Pelé, e quando tutti quanti ascoltavamo ancora Albano e Romina Pauer, e andavamo allo stadio "invece di vedere le partite su Skai", ha pensato di metterlo come programma di governo. Dimenticando che, tanto per cominciare, i telefoni fissi esistono ancora, che Albano e Romina Power sono per fortuna ancora vivi e vegeti, nonché ancora in attività, che gli stadi esistono ancora come ci sono ancora gli sms, e che gli oratori e i muretti non sono stati rasi al suolo da nessuno. Semplicemente la gente non ha voglia di frequentarli né di spendere migliaia di euro per mandare sms quando c'è Whatsapp né di stare inchiodati al muro per parlare con qualcuno, quando si può tranquillamente andare fuori casa se non si vuol far sentire le proprie conversazioni ai familiari, o andare allo stadio quando la partita può vedersela comodamente dal focolare domestico, magari accanto alla famiglia. Per cui, invece di prendere di mira i mezzi della modernità, forse è più utile chiedersi perché la gente non usa più quelli dell'antichità. La circolare con cui si vuole vietare l'uso dei telefonini nelle scuole parte dal presupposto che il vero problema della scuola sia nei ragazzini che usano il cellulare. Ma questa è fuffa. Come sono fuffa le battaglie sul merito, sul contante e sulla sovranità alimentare, come lo è l'abolizione del reddito di cittadinanza e il divieto di rave party. In realtà il guaio della scuola è di essere uno dei tanti organi dell'istituzione chiamata Stato, a cui si chiede di diventare il padre dei cittadini, salvo poi lamentarsi del fatto che diventi spesso Padrone e Padrino, chiedendogli di proteggere e tutelare i cittadini, esigenza assurda che oltre a tradursi, a conti fatti, in una burocrazia asfissiante, invadente, gravata da milioni di dipendenti statali, poi chiede il conto come avvenuto per esempio nei deliri pandemici.
Di conseguenza, la scuola, essendo espressione del potere dello Stato, non serve per andare ad imparare cose nuove ma per ottenere l'agognato titolo di studio che poi si tradurrà in un posto fisso statale, sorbendosi nel frattempo tonnellate di propaganda, a seconda di quale sia la temperie del tempo. L'alunno studia per ottenere la sufficienza, ottenuta naturalmente anche facendo carte false, copiando durante i compiti in classe, anche attraverso raccomandazioni, non per arricchire un bagaglio di preparazione che gli tornerà utile nella professione. Va da sé che se l'obiettivo è quello di ottenere un titolo, non importa come, basta che ci sia, non troverà il telefonino una distrazione, incontrando come primo complice spesso quell'insegnante il cui unico obiettivo è incassare lo stipendio a fine mese.
Viceversa, se quello stesso allievo frequenta un corso, per il quale spende un fottio di soldi e che gli serve ad acquisire conoscenze che gli consentiranno di trovare nuovi clienti e dunque di migliorare il proprio conto corrente, ha senso che durante questo corso usi il telefonino, perdendo quelle conoscenze? E ha senso che un professore che verrà pagato soltanto se quella scuola produce risultati e utili, sia complice di questo malaffare? Naturalmente no. Ma questa è una malattia ben nota, con un nome ben preciso: lo statalismo. Che, ovviamente, non è un cancro circoscritto che affligge solo la scuola, ma un tumore metastatico, di cui la scuola è solo uno dei tanti organi infetti. Proprio per questo è assurdo curarlo come se fosse un tumore circoscritto. Curare la scuola isolatamente non è meno assurdo di rivolgersi ad uno pneumologo per curare un tumore ai polmoni, quando invece occorre un oncologo.
E' una premessa che serve ad introdurre l'attualità di un governo che nasce all'insegna del reazionarismo. Deve essere successo che qualcuno, osservando su Facebook il successo di pagine del tipo "Come eravamo negli anni '60, '70, '80, quando non c'erano i telefonini, quando si giocava a pallone scalzi in mezzo alla strada, quando c'erano Maradona, Van Basten, Pelé, e quando tutti quanti ascoltavamo ancora Albano e Romina Pauer, e andavamo allo stadio "invece di vedere le partite su Skai", ha pensato di metterlo come programma di governo. Dimenticando che, tanto per cominciare, i telefoni fissi esistono ancora, che Albano e Romina Power sono per fortuna ancora vivi e vegeti, nonché ancora in attività, che gli stadi esistono ancora come ci sono ancora gli sms, e che gli oratori e i muretti non sono stati rasi al suolo da nessuno. Semplicemente la gente non ha voglia di frequentarli né di spendere migliaia di euro per mandare sms quando c'è Whatsapp né di stare inchiodati al muro per parlare con qualcuno, quando si può tranquillamente andare fuori casa se non si vuol far sentire le proprie conversazioni ai familiari, o andare allo stadio quando la partita può vedersela comodamente dal focolare domestico, magari accanto alla famiglia. Per cui, invece di prendere di mira i mezzi della modernità, forse è più utile chiedersi perché la gente non usa più quelli dell'antichità. La circolare con cui si vuole vietare l'uso dei telefonini nelle scuole parte dal presupposto che il vero problema della scuola sia nei ragazzini che usano il cellulare. Ma questa è fuffa. Come sono fuffa le battaglie sul merito, sul contante e sulla sovranità alimentare, come lo è l'abolizione del reddito di cittadinanza e il divieto di rave party. In realtà il guaio della scuola è di essere uno dei tanti organi dell'istituzione chiamata Stato, a cui si chiede di diventare il padre dei cittadini, salvo poi lamentarsi del fatto che diventi spesso Padrone e Padrino, chiedendogli di proteggere e tutelare i cittadini, esigenza assurda che oltre a tradursi, a conti fatti, in una burocrazia asfissiante, invadente, gravata da milioni di dipendenti statali, poi chiede il conto come avvenuto per esempio nei deliri pandemici.
Di conseguenza, la scuola, essendo espressione del potere dello Stato, non serve per andare ad imparare cose nuove ma per ottenere l'agognato titolo di studio che poi si tradurrà in un posto fisso statale, sorbendosi nel frattempo tonnellate di propaganda, a seconda di quale sia la temperie del tempo. L'alunno studia per ottenere la sufficienza, ottenuta naturalmente anche facendo carte false, copiando durante i compiti in classe, anche attraverso raccomandazioni, non per arricchire un bagaglio di preparazione che gli tornerà utile nella professione. Va da sé che se l'obiettivo è quello di ottenere un titolo, non importa come, basta che ci sia, non troverà il telefonino una distrazione, incontrando come primo complice spesso quell'insegnante il cui unico obiettivo è incassare lo stipendio a fine mese.
Viceversa, se quello stesso allievo frequenta un corso, per il quale spende un fottio di soldi e che gli serve ad acquisire conoscenze che gli consentiranno di trovare nuovi clienti e dunque di migliorare il proprio conto corrente, ha senso che durante questo corso usi il telefonino, perdendo quelle conoscenze? E ha senso che un professore che verrà pagato soltanto se quella scuola produce risultati e utili, sia complice di questo malaffare? Naturalmente no. Ma questa è una malattia ben nota, con un nome ben preciso: lo statalismo. Che, ovviamente, non è un cancro circoscritto che affligge solo la scuola, ma un tumore metastatico, di cui la scuola è solo uno dei tanti organi infetti. Proprio per questo è assurdo curarlo come se fosse un tumore circoscritto. Curare la scuola isolatamente non è meno assurdo di rivolgersi ad uno pneumologo per curare un tumore ai polmoni, quando invece occorre un oncologo.
Occorrerebbe una cura che riformi globalmente tutto il sistema statale. Occorre capire che lo statalismo, ormai diffuso ovunque, sta distruggendo tutti gli organi dello Stato e, con esso, la credibilità di ogni forma di comunitarismo. Che poi sia assurdo aspettarsi che un governo, senza alcun reale potere, controllato a vista dalla comunità internazionale, possa fare una riforma che richiederebbe ben altri poteri, non lo è certo di più di chi si aspetta soluzioni ai grandi problemi che affliggono il nostro paese con semplici battaglie di retroguardia, come quella contro il telefonino nelle scuole, che è del tutto inutile se non si ficca in testa agli alunni che a scuola si va per imparare nozioni che servono per l'avvenire. E non è meno assurdo pretendere che un ragazzo capisca queste cose, se tanto sa benissimo che alla fine tutto lo sforzo sta nel memorizzare (senza capirle) alcune verità di stato, controllato da un burocrate con poca passione chiamato improvvidamente professore, funzionali ad un ingresso in pianta stabile nella macchina dello stato. Una macchina dalla quale si viene cacciati solo se si fanno cose davvero gravi come rubare, uccidere, stuprare, esprimere dubbi sui vaccini, non esporre la bandiera ucraina e non insultare giornalmente Putin, osare rivolgere ad un'avvenente collega un complimento sui suoi occhi e definirsi patrioti. Ma che proprio per questo, funziona sempre meno e genera una scuola sempre meno formante, una sanità sempre meno efficiente e in generale un paese sempre meno intelligente e sicuro. Quando soprattutto l'era del covid ci avrebbe dovuto spiegare quanto sappia essere pericoloso lo Stato quando abbandona la sua dimensione di ente al servizio dei cittadini e viceversa pretende che costoro si mettano al suo servizio.