C’è qualche frase che rivela a colpo sicuro il cretino, come il lampo annuncia il tuono? Sì, c’è. Basta che qualcuno dica: “Ha lottato contro il cancro ed ha vinto”. Perché questa frase, se non fosse l’epitome dell’inescusabile stupidità, significherebbe che chi è morto di cancro non ha voluto curarsi e non ha lottato. Io non so se i fantasmi esistano ma se io fossi un fantasma non mi farei alcuno scrupolo a spaventare i cretini che ci credono. E tuttavia bisogna chiedersi che cosa possa spingere non tanto il cretino multimediale (perché in questo caso la risposta è semplice: è un cretino) quanto un giornalista distratto e conformista a ripetere quell’inammissibile stereotipo. Forse ciò che dà lunga vita a certe illusioni è il bisogno che abbiamo di una speranza, di un miracolo. Chi avrebbe il coraggio di rimproverare il padre di un giovane defunto che in chiesa dice "Egli ci guarda da lassù" e la madre che gli si rivolge parlandogli a voce alta come se potesse sentirla? Negando la realtà, preferiscono ciò che sperano a ciò che hanno sotto gli occhi.
Benché l'umanità abbia fatto tanti progressi, benché si sia arrivati ad una scienza raffinata e comprovata (anche se televirologi, televulcanologi e telemaremotologi fanno di tutto affinché sia odiata) resiste nell’animo dei più la magia delle parole. Quando il mago Gennaro D'Auria con la sua archetipica voce nasale dice al cliente: "Tu andrai a migliorare", il cliente imbecille riaggancia il telefono più rassicurato e paga volentieri la truffa. La promessa è soltanto una frase, ma molti la prendono per realtà. "Me l'ha promesso", dicono, come se avessero già in tasca il regalo. E non si può dimenticare quante carriere politiche di successo, ed anche quanti governi, si sono ottenuti con magnifiche promesse. Certo, se poi le promesse non sono state mantenute, è stato per colpa del destino o perché si è scoperto che il denaro non cresce sugli alberi.
Le vicende di Vialli e Mihajlovic sono note a tutti. Questi due poveretti un brutto giorno si sono ritrovati ciascuno una diagnosi che sconvolgerebbe qualsiasi persona sennomunita. Se penso che io per un dente perduto un anno e mezzo fa ne ho fatto una tragedia, figuriamoci cosa possa accadere nella mente di un povero cristo che si sente diagnosticare un cancro che, specialmente nel caso di Vialli (inutile farsi troppe illusioni) ha una mortalità stimata attorno al 99% entro i cinque anni dalla diagnosi. Sono drammi sui quali nessuno è autorizzato a proferire parola. Che Vialli preferisca definire quell'ammasso di cellule maligne un "compagno di viaggio" o che Mihajlovic invece lo affronti con lo spirito del guascone slavo che tutti conosciamo, è del tutto legittimo, se questo li aiuta. Ciò che è ingiustificabile e insopportabile, oltre alla corsa all'annuncio finale, è la sovrabbondanza retorica attorno al loro nome, non ultimo il "lottare contro il cancro". Una sesquipedale stronzata.
In realtà non si lotta contro nulla. Quando arriva quella diagnosi, forse l'unica lotta che davvero si affronta è la scelta tra il non suicidarsi oppure affrontare cure dolorose, con l'alea costante - che nemmeno i proverbiali "cinque anni" scongiurano - che la malattia possa ripresentarsi, ancor più aggressiva. Superato quel punto - la volontà di affrontare quel percorso invece di ammazzarsi la attribuirei più allo spirito di conservazione che al coraggio - ci si mette una cannula in corpo per diversi mesi e, da quel momento, la differenza la fanno la fibra del paziente, l'aggressività della malattia e la bravura dei medici. Fine della storia.
Se dunque questi due gagliardi atleti guariranno - e purtroppo non stanno arrivando buone notizie in tal senso – non sarà certo perché "hanno lottato" ma perché la loro fibra è forte e la malattia non sufficientemente aggressiva per mandarli al creatore. E certamente in ambedue i casi può aiutarli un fisico temprato da anni di agonismo. Se la povera Nadia Toffa o quel buon uomo di Fabrizio Frizzi sono morti, non è perchè non hanno lottato ma perchè il male era troppo aggressivo e loro non avevano evidentemente un fisico forte a sufficienza per reagire, cosa di cui non hanno la minima colpa e che neanche le cure che loro, benestanti, si sono potuti permettere, sono bastate come non è bastato l’affetto figlio della loro meritata fama. Questa è la banale realtà della vita.
Per cui cortesemente, nell’augurare a questi due grandi calciatori - come ai tanti più o meno famosi che si sono ammalati di questo o di altro - che superino le terribili malattie che li hanno colpiti e che 99 volte su 100 portano alla morte (e quei novantanove che muoiono, certo non sono dei poveri stronzi) si evitino le consuete dosi di retorica e stupidità. Si eviti lo sciacallaggio di scrivere "Forza Sinisa" dando ad intendere peggioramenti o di inondare i social di valanghe di retorica. Per rispetto delle loro famiglie che, se non hanno diffuso comunicati ulteriori, forse semplicemente vogliono essere lasciati in pace, e anche dei tanti disgraziati che muoiono, per giunta dopo anni e anni di sofferenze, dimenticati da tutti forse perché non talentuosi a sufficienza per meritarsi le prime pagine del grande giornalone di un’umanità demente.
Benché l'umanità abbia fatto tanti progressi, benché si sia arrivati ad una scienza raffinata e comprovata (anche se televirologi, televulcanologi e telemaremotologi fanno di tutto affinché sia odiata) resiste nell’animo dei più la magia delle parole. Quando il mago Gennaro D'Auria con la sua archetipica voce nasale dice al cliente: "Tu andrai a migliorare", il cliente imbecille riaggancia il telefono più rassicurato e paga volentieri la truffa. La promessa è soltanto una frase, ma molti la prendono per realtà. "Me l'ha promesso", dicono, come se avessero già in tasca il regalo. E non si può dimenticare quante carriere politiche di successo, ed anche quanti governi, si sono ottenuti con magnifiche promesse. Certo, se poi le promesse non sono state mantenute, è stato per colpa del destino o perché si è scoperto che il denaro non cresce sugli alberi.
Le vicende di Vialli e Mihajlovic sono note a tutti. Questi due poveretti un brutto giorno si sono ritrovati ciascuno una diagnosi che sconvolgerebbe qualsiasi persona sennomunita. Se penso che io per un dente perduto un anno e mezzo fa ne ho fatto una tragedia, figuriamoci cosa possa accadere nella mente di un povero cristo che si sente diagnosticare un cancro che, specialmente nel caso di Vialli (inutile farsi troppe illusioni) ha una mortalità stimata attorno al 99% entro i cinque anni dalla diagnosi. Sono drammi sui quali nessuno è autorizzato a proferire parola. Che Vialli preferisca definire quell'ammasso di cellule maligne un "compagno di viaggio" o che Mihajlovic invece lo affronti con lo spirito del guascone slavo che tutti conosciamo, è del tutto legittimo, se questo li aiuta. Ciò che è ingiustificabile e insopportabile, oltre alla corsa all'annuncio finale, è la sovrabbondanza retorica attorno al loro nome, non ultimo il "lottare contro il cancro". Una sesquipedale stronzata.
In realtà non si lotta contro nulla. Quando arriva quella diagnosi, forse l'unica lotta che davvero si affronta è la scelta tra il non suicidarsi oppure affrontare cure dolorose, con l'alea costante - che nemmeno i proverbiali "cinque anni" scongiurano - che la malattia possa ripresentarsi, ancor più aggressiva. Superato quel punto - la volontà di affrontare quel percorso invece di ammazzarsi la attribuirei più allo spirito di conservazione che al coraggio - ci si mette una cannula in corpo per diversi mesi e, da quel momento, la differenza la fanno la fibra del paziente, l'aggressività della malattia e la bravura dei medici. Fine della storia.
Se dunque questi due gagliardi atleti guariranno - e purtroppo non stanno arrivando buone notizie in tal senso – non sarà certo perché "hanno lottato" ma perché la loro fibra è forte e la malattia non sufficientemente aggressiva per mandarli al creatore. E certamente in ambedue i casi può aiutarli un fisico temprato da anni di agonismo. Se la povera Nadia Toffa o quel buon uomo di Fabrizio Frizzi sono morti, non è perchè non hanno lottato ma perchè il male era troppo aggressivo e loro non avevano evidentemente un fisico forte a sufficienza per reagire, cosa di cui non hanno la minima colpa e che neanche le cure che loro, benestanti, si sono potuti permettere, sono bastate come non è bastato l’affetto figlio della loro meritata fama. Questa è la banale realtà della vita.
Per cui cortesemente, nell’augurare a questi due grandi calciatori - come ai tanti più o meno famosi che si sono ammalati di questo o di altro - che superino le terribili malattie che li hanno colpiti e che 99 volte su 100 portano alla morte (e quei novantanove che muoiono, certo non sono dei poveri stronzi) si evitino le consuete dosi di retorica e stupidità. Si eviti lo sciacallaggio di scrivere "Forza Sinisa" dando ad intendere peggioramenti o di inondare i social di valanghe di retorica. Per rispetto delle loro famiglie che, se non hanno diffuso comunicati ulteriori, forse semplicemente vogliono essere lasciati in pace, e anche dei tanti disgraziati che muoiono, per giunta dopo anni e anni di sofferenze, dimenticati da tutti forse perché non talentuosi a sufficienza per meritarsi le prime pagine del grande giornalone di un’umanità demente.
O troppo riservati per cercarle.