Anzitutto mi scuso con tutti per l'articolo di ieri che a qualcuno sarà parso fuori tema viste le rivolte cinesi che hanno catalizzato l'attenzione di tutti. Il fatto è che l'ho scritto prima di leggerne, tramite il nostro nuovo ulteriore ottimo acquisto @Andrea Sartori - a cui ovviamente do il benvenuto - la notizia proprio qui. La tentazione era di scrivere qualcosa già per ieri ma ho preferito evitare sia per lasciare a lui come a @Filippo Barbera la centralità, sia per razionalizzare un evento troppo complesso per poterne parlare immediatamente. L'unica cosa che non condivido, infatti, è valutare l'accadimento in Cina come "la vittoria dell'Occidente", così come valutare eventuali rivolte in America come "la vittoria dell'Oriente". Non ho letto i social dai quali ormai sono lontano, ma conoscendo l'emotività media del socialaro, sono convinto che questo sia il tenore dei post. Ma fin qui le note di colore.
Anzitutto, i dati. Abituati alle proporzioni italiane, "un milione" di persone in piazza possono sembrare chissà cosa, ma in un paese di un miliardo e cinquecentomila e in un territorio enorme, grande due o tre volte il continente europeo, sono puro solletico, come se in Italia ci fosse una protesta di 30.000 persone: sufficienti per parlarne ma non per attentare all'integrità nemmeno di un paese in crisi come il nostro, figurarsi un sistema come quello cinese. Ci sono state rivolte molto più massicce che si sono sistematicamente concluse con violente repressioni.
Poi le interpretazioni: rivolta eterodiretta? Spontanea? Possono essere ambedue le cose. Non è che si scoprisse che se dietro ci sono gli Stati Uniti, questo tolga qualcosa alle ragioni cinesi. Un focolaio di rivolta eterodiretta non esiste senza ragioni locali, poi certamente ci può essere anche l'intervento esterno che le sobilla, non è escluso, anche se personalmente, mai come questa volta credo che gli Stati Uniti non c'entrino nulla. In un momento come quello attuale, di tutto gli americani hanno bisogno fuorché dell'inimicizia di un paese che può decidere il conflitto in Ucraina. Per cui, chiedersi chi sia in crisi tra i due poli, senza considerare che a rischio possano essere entrambe, è sbagliato. Siamo di fronte ad una situazione pericolosissima, di cui queste rivolte non costituiscono certo il sintomo più grave, perché il sistema cinese è molto più sano economicamente di quello occidentale, ma molto più malato sul piano dei diritti, perché alle malattie mentali da psichiatria tipicamente occidentali non possono certo corrispondere quelle tipicamente orientali. Non è peraltro nulla di cui io non abbia già parlato e che si riconduce ad un dato di fondo che va accettato.
Non è certo un problema nuovo, ed anzi l'esistenza di un diritto e di un'economia, oltre che di sanguinosissime guerre, sin dai tempi delle antiche civiltà, dimostrano che il sovrappopolamento è un tema reale: quando troppe persone occupano uno spazio, inevitabilmente si faranno la guerra come avviene in tutte le specie animali, in ogni epoca. Quando segnalo questo problema, l'obiezione che mi viene sollevata è "Ma al mondo ci sono poche risorse perché sono male distribuite". E chi pone il problema in questo modo, oltre a non rendersi conto di legittimare proprio la teoria del sovrappopolamento (perché porsi il problema della redistribuzione se tanto le risorse sono abbondanti?) oltre a non rendersi conto di auspicare una dittatura che con violenza tolga risorse a chi le ha meritate in virtù della propria maggiore abilità per darle a gente che non ha fatto nulla per meritarsele, non sa rispondere a questa domanda: anche supponendo che le risorse bastino e che fosse sufficiente instaurare una dittatura mondiale, cosa succederebbe se la popolazione, tra qualche tempo, invece di essere di 8 miliardi, arrivasse a 80?
Questo non significa che i rimedi a questo problema non siano inaccettabili e ridicoli come quelli delle democrazie occidentali (propaganda dell'omosessualità, della conflittualità intersessuale) oppure già applicati e fallimentari (figlio unico) come quelli dei totalitarismi orientali, ma il problema resta. Soltanto che mentre nell'antichità il problema si risolveva con le guerre che la storia ci ha sempre tramandato ("unica vera igiene del mondo" cit. Marinetti) e la questione rimaneva confinata nel territorio, viceversa l'interconnessione e il livello degli armamenti nonché la dimensione globale del problema, rendono impossibile una guerra convenzionale tra nazioni, che di fatto sancirebbe la fine della civiltà umana.
Anzitutto, i dati. Abituati alle proporzioni italiane, "un milione" di persone in piazza possono sembrare chissà cosa, ma in un paese di un miliardo e cinquecentomila e in un territorio enorme, grande due o tre volte il continente europeo, sono puro solletico, come se in Italia ci fosse una protesta di 30.000 persone: sufficienti per parlarne ma non per attentare all'integrità nemmeno di un paese in crisi come il nostro, figurarsi un sistema come quello cinese. Ci sono state rivolte molto più massicce che si sono sistematicamente concluse con violente repressioni.
Poi le interpretazioni: rivolta eterodiretta? Spontanea? Possono essere ambedue le cose. Non è che si scoprisse che se dietro ci sono gli Stati Uniti, questo tolga qualcosa alle ragioni cinesi. Un focolaio di rivolta eterodiretta non esiste senza ragioni locali, poi certamente ci può essere anche l'intervento esterno che le sobilla, non è escluso, anche se personalmente, mai come questa volta credo che gli Stati Uniti non c'entrino nulla. In un momento come quello attuale, di tutto gli americani hanno bisogno fuorché dell'inimicizia di un paese che può decidere il conflitto in Ucraina. Per cui, chiedersi chi sia in crisi tra i due poli, senza considerare che a rischio possano essere entrambe, è sbagliato. Siamo di fronte ad una situazione pericolosissima, di cui queste rivolte non costituiscono certo il sintomo più grave, perché il sistema cinese è molto più sano economicamente di quello occidentale, ma molto più malato sul piano dei diritti, perché alle malattie mentali da psichiatria tipicamente occidentali non possono certo corrispondere quelle tipicamente orientali. Non è peraltro nulla di cui io non abbia già parlato e che si riconduce ad un dato di fondo che va accettato.
Al mondo ci sono troppe persone
Non è certo un problema nuovo, ed anzi l'esistenza di un diritto e di un'economia, oltre che di sanguinosissime guerre, sin dai tempi delle antiche civiltà, dimostrano che il sovrappopolamento è un tema reale: quando troppe persone occupano uno spazio, inevitabilmente si faranno la guerra come avviene in tutte le specie animali, in ogni epoca. Quando segnalo questo problema, l'obiezione che mi viene sollevata è "Ma al mondo ci sono poche risorse perché sono male distribuite". E chi pone il problema in questo modo, oltre a non rendersi conto di legittimare proprio la teoria del sovrappopolamento (perché porsi il problema della redistribuzione se tanto le risorse sono abbondanti?) oltre a non rendersi conto di auspicare una dittatura che con violenza tolga risorse a chi le ha meritate in virtù della propria maggiore abilità per darle a gente che non ha fatto nulla per meritarsele, non sa rispondere a questa domanda: anche supponendo che le risorse bastino e che fosse sufficiente instaurare una dittatura mondiale, cosa succederebbe se la popolazione, tra qualche tempo, invece di essere di 8 miliardi, arrivasse a 80?
Questo non significa che i rimedi a questo problema non siano inaccettabili e ridicoli come quelli delle democrazie occidentali (propaganda dell'omosessualità, della conflittualità intersessuale) oppure già applicati e fallimentari (figlio unico) come quelli dei totalitarismi orientali, ma il problema resta. Soltanto che mentre nell'antichità il problema si risolveva con le guerre che la storia ci ha sempre tramandato ("unica vera igiene del mondo" cit. Marinetti) e la questione rimaneva confinata nel territorio, viceversa l'interconnessione e il livello degli armamenti nonché la dimensione globale del problema, rendono impossibile una guerra convenzionale tra nazioni, che di fatto sancirebbe la fine della civiltà umana.
Affrontare il problema come se fossimo in un concorso di bellezza dove eleggere il più figo del bigoncio planetario, significa smarrire la natura sistemica e globale del problema, perché ad essere in crisi è una visione messianica della realtà che, vedendo contrapporsi, a seconda della "religione" cui si appartiene, un paradiso e un inferno - e dunque una polarizzazione globale dove i difetti dell'uno legittimano le argomentazioni dell'altro - impedisce una resa dei conti che, senza un livello di armamenti così pericoloso, già si sarebbe verificata. Il mondo va - e se ne vedono già le premesse - verso un conflitto antropologico trasversale, che superando le nazioni, probabilmente porrà le basi di nuove forme di socialità che costituiranno la vera riduzione demografica di cui, inevitabilmente, il pianeta ha bisogno, e che segnerà la fine di tutti i costrutti dialettici conosciuti, fin quando non si sarà trovato un nuovo equilibrio. L'approccio più sbagliato sarebbe quello di farne un derby tra l'obeso individualismo occidentale e il sistema ape nell'alveare del Resto del Mondo. Perché non sta vincendo nessuno. Stanno perdendo tutte e due.