Quando misi la prima pietra del mio nuovo progetto, giurai a me stesso che non avrei mai accettato né che questo diventasse una sorta di refugium peccatorum né di trasformarlo in un anti-Facebook dal quale ogni giorno sparare bordate contro i social. Ho sempre trovato profondamente patetici tutti coloro che, cacciati da qualcuno o da qualcosa, andavano da qualcun altro o da un'altra parte per, come si dice volgarmente, sputare sul piatto dove hanno mangiato per anni. Dunque sarebbe patetico che io passassi tutto il tempo a tuonare contro Facebook, e oltretutto questo articolo è intitolato "Perché lasciare i social", altrimenti sarebbe stato "Perché ho lasciato Facebook". E tuttavia è necessaria una spiegazione non tanto sul perché di questo cambiamento - riservandomi di usare i social mainstream unicamente per drenare utenza da portare sul mio progetto e naturalmente aspettandomi che (violando le regole) questi social mi riducano la visibilità - quanto sul perché a mio avviso sia giusto andarsene. Partendo proprio da cosa sia - o sia diventato - Facebook e in generale i social.
Facebook, Twitter e gli altri, non sono più - ammesso che lo siano mai stati - dei social network, bensì il riflesso ed il condensato di ogni maledetta psicopatia maniacale narcisistica, selfie-network che attirano e allenano la mania di protagonismo di chiunque pensi, per il solo fatto di apparire su uno schermo (non più televisivo, ma telematico) di essere ad un passo dal raggiungere l'agognata fama. E del resto i vari "come è noto", "come ho già scritto", "come dico sempre" di tanti signori nessuno, il dilagare di foto pseudosexy pubblicate da smandrappone di mezz'età (nove volte su dieci emeriti cessi a pedali dal vivo) alla ricerca di ego boost garantito da pletore di sottoni, il proliferare di editoriali non richiesti, suffragati dalla folle convinzione che ricevere un centinaio di like - con i quali non si riempiono stadi ma al massimo due appartamenti in zona residenziale - li trasformino in novelle Kim Kardashian, in novelli Montanelli, hanno creato una massa di psicopatici che hanno completamente divorziato dalla realtà.
In estrema sintesi, Facebook è una sorta di "Corrida di Corrado", una roba tipo "Pollena Trocchia got talent", che nutrendo la suggestione che ricevere un determinato quantitativo di like equivalga ad essere ad un passo dal diventare presidenti del Consiglio, fonda il proprio core business sull'illusoria notorietà che un utente crede di avere, A PATTO CHE se ne stia buono e non vada oltre il proprio recinto. Perché se per caso, osasse farlo, ogni social - violando ogni legge di ogni paese civile e democratico - lo metterebbe immediatamente nelle condizioni di dover pagare il surplus di vanità che cerca. E se per caso provasse ad ottenerlo gratis, verrebbe immediatamente bannato. I famigerati limiti di amicizia hanno questo scopo: costringere l'utente a trasformare il proprio profilo in pagina. Una pagina che cresce solo se pagate. O per meglio dire, se pagate caro.
Questo meccanismo crea una serie di tossicità non di poco conto. In primo luogo, costringe le persone a dire non le cose più intelligenti ma quelle che, per un motivo o per un altro, impattano nell'emotività del lettore. In secondo luogo, trasforma le persone stesse in cani rabbiosi pronti a ringhiare contro chiunque osi mettere discutere quel bagaglio di idee che lo hanno fatto diventare famoso. Ma soprattutto, fa sì che ad avere i profili più popolari siano a) Persone già famose e che dunque non hanno bisogno di costruirsi un bagaglio di contatti da zero (Selvaggia Lucarelli, per dire, era già famosa da prima di Facebook) b) Persone che hanno aziende alle spalle in grado di comprare letteralmente la notorietà. Cosa che a mio avviso autorizzerebbe molti dubbi sulla genuinità del successo di alcuni influencer. In sostanza, sui social si ha successo se si accetta di svendere la propria intelligenza alle logiche dell'ultrà, pagando per avere la voce più potente.
A quel punto io avevo due possibilità. Investire qualche migliaio di euro (non navigo nell'oro ma potrei farlo) per costruirmi una fanbase di 2-300.000 affezionati e avviare il medesimo stantio schema che ormai caratterizza la dissidenza: fare fuoco e fiamme contro il sistema e conquistare un seguito che per quelle che sono le mie qualità sono convinto di poter conquistare senza un'eccessiva fatica (con buona pace di quelli di Io Professione Mitomane pronti a colpire chiunque osi profanare l'autocastrante regola di esibire falsa modestia) per poi, conquistato un seguito di un certo tipo, chiedersi che uso farne. Tentare la carriera politica candidandosi presso qualche partito? Impossibile. Il sistema è bloccato, ed è concepito proprio per cooptare con le buone o con le cattive qualsiasi dissidenza. Anzi, per essere precisi, è fatto per essere penetrato da tanti morti di fame che entrano, poi scoprono che la bellezza della vita da parlamentare vale molto di più della lotta per salvare questo paese. Entrare in qualche grosso canale tipo Byoblu o accettare la proposta di qualche giornale che magari mi disprezzava prima ma che si accorge di me solo perché la mia pagina si è gonfiata? Scegliere questa strada significherebbe rinunciare completamente ad ogni spirito critico perché per poter essere accettato all'interno di questi circoli, tutti facenti capo direttamente o indirettamente a qualche partito o gruppo editoriale, a questa o quella conventicola o camarilla, non si può farlo rimanendo indipendenti.
Si prenda per esempio la vicenda del decreto sui rave party. Si tratta di un decreto che, nella migliore delle ipotesi, è scritto da cani, nella peggiore c'è la malafede di nascondere dietro intenti sicuramente condivisibili, scopi molto più loschi. Questa è la mia opinione e che qualcuno non sia d'accordo ci sta. Ma, apriti cielo, ho toccato Santa Giorgia della Purificazione, ed ecco gli insulti, le faccine irridenti, le rimozioni di amicizia. Ecco i post di insulti da parte dei capi ultrà di Facebook rivolti a chiunque osi opporre, anche timidamente, con tutta l'educazione del caso, un'obiezione.
In un posto strutturalmente pensato per incentivare queste cose **non ho più niente né da dire né da dare né da ricevere**.
Chi ha una dignità, una volta che capisce come è fatto Facebook, se ne tira fuori.
Così quando su Facebook ho scritto della mia decisione di andarmene e di farmi uno spazio per conto mio, non mi ha sorpreso - ma ha solo confermato le mie conclusioni - la preoccupazione di alcuni circa la mia perdita di visibilità, l'insofferenza di persone che pure a parole sembravano amici, e hanno puntato i piedi per terra e mettessero in dubbio la mia onestà intellettuale, facendomi passare come quello che parla contro Facebook per interesse. E il punto non è che da noi non ci saranno i like, perché, come è facilmente riscontrabile, i like ci sono eccome. Dirsi contro al desiderio di visibilità degli utenti - come fa Sfero, per esempio - significa colpire il motore che spinge le persone a condividere i propri contenuti gratis. Criticare l'obesità e, in generale, chi mangia come un maiale è cosa buona e giusta. Dire che mangiare fa male è una cretinata.
Da noi, non ci sono limiti alle possibilità di crescita di un utente. Il cosiddetto "core business" è in altre cose. Non ci sono limiti a quanto possa crescere un utente. Non speculiamo sulla voglia dell'utente di diventare famoso, anzi proprio il fatto che da noi possa, quando saremo entrati a pieno regime, diventare famoso molto più facilmente, lo responsabilizzerà molto di più, perché quando si raggiunge una platea molto più ampia, fatta anche da persone non amiche, si è molto più sottoposti alla critica e dunque si è costretti ad essere molto più attenti a quel che si dice.
I social network di oggi non responsabilizzano l'utente, non gli regalano una reale notorietà, ma soltanto una piccola porzione di potere col diritto di abusarne. In generale, chiunque scriva su un social network, su qualsiasi social network, conta qualcosa (cioè pochissimo) fin quando rimane su quello specifico social, perché per il resto - come è ovvio ancorché avvilente - i social gli sabotano qualsiasi tentativo di portare la propria notorietà fuori dai propri spazi.
Sì, è vero. Oggi la politica si fa sui social e, non di rado, gli spazi di dibattito generano autentici uragani che possono anche travolgere una classe politica. Il punto è che il battito di ali di una farfalla può scatenare un uragano, ma non fa diventare la farfalla uragano: rimarrà una farfalla che può essere schiacciata da una semplice mano. Basta che violi i fumosi "standard della comunità". Tutti voi che scrivete sui social, regalate da oltre dieci anni contenuti che consentono ai loro proprietari di fare una vita da nababbi, guadagnando sui fatti vostri che raccontate, sulle foto delle vostre tette o del vostro pettorale scolpito, sulle rivelazioni del vostro conto in banca, sulle vostre qualità di scrittori della domenica. Zuckerberg, Elon Musk, Larry Page e tutti gli altri, sono abilissimi a farvi credere che voi siate parte di un cambiamento. Quanto ciò sia una pura suggestione poi si vede alle elezioni quando i gonzi che fondano partiti che si nutrono di queste suggestioni, poi raccolgono percentuali da prefisso telefonico.
Dopodiché, che le reazioni alle novità siano sempre diffidenti, questo lo so benissimo. Chi trae nutrimento da qualcosa di tossico, difficilmente "smetterà" e dunque ("TU, sì PROPRIO TU, vuoi togliermi la dose che mi sono conquistato!") è ovvio che mi veda come un nemico.
Chi pensa che il massimo della vita sia ricevere migliaia di like perché ha urlato un coro da stadio in una curva fatta unicamente da tifosi della sua stessa squadra, è giusto che continui a nutrire questa suggestione, fino all'ennesimo ban, fino ad arrivare a Marco Rossi o Gennaro Esposito profilo numero cinquanta. Se volete proseguire così, chi sono io per farvi cambiare idea? Per me una roba così è da folli ("la follia è la pretesa di fare la stessa cosa e attendersi risultati diversi") e nel momento in cui ho realizzato tutto questo - e con molta umiltà ho ammesso a me stesso di aver anche io, inconsapevolmente, alimentato questo meccanismo - conseguenzialmente ho scelto un'altra strada. Se sarà quella migliore, lo deciderà una serie di fattori: se sono davvero bravo (nel mio mestiere lo sono) se sarò fortunato (anche il successo più sfavillante non sfugge alla fortuna) e se il mercato è pronto ad accettare un'idea come la mia. E' una strada impervia ma migliorabile. Ed è costruita da uno che sa come si costruiscono queste strade.
Dite che vi dispiace perdermi? Sono alibi. Se volete seguirmi, io ci sono. Se poi volete continuare a nutrire l'ego e il portafoglio di gente per la quale voi non siete niente, siete numeri, che vi devo dire? Buona fortuna. Ci rivediamo al prossimo account che vi viene chiuso senza spiegazioni. Una casa, se volete, dove venire a rifugiarvi, ora c'è. Se davvero vi manco, se mi volete bene, dove trovarmi lo sapete.
Facebook, Twitter e gli altri, non sono più - ammesso che lo siano mai stati - dei social network, bensì il riflesso ed il condensato di ogni maledetta psicopatia maniacale narcisistica, selfie-network che attirano e allenano la mania di protagonismo di chiunque pensi, per il solo fatto di apparire su uno schermo (non più televisivo, ma telematico) di essere ad un passo dal raggiungere l'agognata fama. E del resto i vari "come è noto", "come ho già scritto", "come dico sempre" di tanti signori nessuno, il dilagare di foto pseudosexy pubblicate da smandrappone di mezz'età (nove volte su dieci emeriti cessi a pedali dal vivo) alla ricerca di ego boost garantito da pletore di sottoni, il proliferare di editoriali non richiesti, suffragati dalla folle convinzione che ricevere un centinaio di like - con i quali non si riempiono stadi ma al massimo due appartamenti in zona residenziale - li trasformino in novelle Kim Kardashian, in novelli Montanelli, hanno creato una massa di psicopatici che hanno completamente divorziato dalla realtà.
In estrema sintesi, Facebook è una sorta di "Corrida di Corrado", una roba tipo "Pollena Trocchia got talent", che nutrendo la suggestione che ricevere un determinato quantitativo di like equivalga ad essere ad un passo dal diventare presidenti del Consiglio, fonda il proprio core business sull'illusoria notorietà che un utente crede di avere, A PATTO CHE se ne stia buono e non vada oltre il proprio recinto. Perché se per caso, osasse farlo, ogni social - violando ogni legge di ogni paese civile e democratico - lo metterebbe immediatamente nelle condizioni di dover pagare il surplus di vanità che cerca. E se per caso provasse ad ottenerlo gratis, verrebbe immediatamente bannato. I famigerati limiti di amicizia hanno questo scopo: costringere l'utente a trasformare il proprio profilo in pagina. Una pagina che cresce solo se pagate. O per meglio dire, se pagate caro.
Questo meccanismo crea una serie di tossicità non di poco conto. In primo luogo, costringe le persone a dire non le cose più intelligenti ma quelle che, per un motivo o per un altro, impattano nell'emotività del lettore. In secondo luogo, trasforma le persone stesse in cani rabbiosi pronti a ringhiare contro chiunque osi mettere discutere quel bagaglio di idee che lo hanno fatto diventare famoso. Ma soprattutto, fa sì che ad avere i profili più popolari siano a) Persone già famose e che dunque non hanno bisogno di costruirsi un bagaglio di contatti da zero (Selvaggia Lucarelli, per dire, era già famosa da prima di Facebook) b) Persone che hanno aziende alle spalle in grado di comprare letteralmente la notorietà. Cosa che a mio avviso autorizzerebbe molti dubbi sulla genuinità del successo di alcuni influencer. In sostanza, sui social si ha successo se si accetta di svendere la propria intelligenza alle logiche dell'ultrà, pagando per avere la voce più potente.
A quel punto io avevo due possibilità. Investire qualche migliaio di euro (non navigo nell'oro ma potrei farlo) per costruirmi una fanbase di 2-300.000 affezionati e avviare il medesimo stantio schema che ormai caratterizza la dissidenza: fare fuoco e fiamme contro il sistema e conquistare un seguito che per quelle che sono le mie qualità sono convinto di poter conquistare senza un'eccessiva fatica (con buona pace di quelli di Io Professione Mitomane pronti a colpire chiunque osi profanare l'autocastrante regola di esibire falsa modestia) per poi, conquistato un seguito di un certo tipo, chiedersi che uso farne. Tentare la carriera politica candidandosi presso qualche partito? Impossibile. Il sistema è bloccato, ed è concepito proprio per cooptare con le buone o con le cattive qualsiasi dissidenza. Anzi, per essere precisi, è fatto per essere penetrato da tanti morti di fame che entrano, poi scoprono che la bellezza della vita da parlamentare vale molto di più della lotta per salvare questo paese. Entrare in qualche grosso canale tipo Byoblu o accettare la proposta di qualche giornale che magari mi disprezzava prima ma che si accorge di me solo perché la mia pagina si è gonfiata? Scegliere questa strada significherebbe rinunciare completamente ad ogni spirito critico perché per poter essere accettato all'interno di questi circoli, tutti facenti capo direttamente o indirettamente a qualche partito o gruppo editoriale, a questa o quella conventicola o camarilla, non si può farlo rimanendo indipendenti.
Si prenda per esempio la vicenda del decreto sui rave party. Si tratta di un decreto che, nella migliore delle ipotesi, è scritto da cani, nella peggiore c'è la malafede di nascondere dietro intenti sicuramente condivisibili, scopi molto più loschi. Questa è la mia opinione e che qualcuno non sia d'accordo ci sta. Ma, apriti cielo, ho toccato Santa Giorgia della Purificazione, ed ecco gli insulti, le faccine irridenti, le rimozioni di amicizia. Ecco i post di insulti da parte dei capi ultrà di Facebook rivolti a chiunque osi opporre, anche timidamente, con tutta l'educazione del caso, un'obiezione.
In un posto strutturalmente pensato per incentivare queste cose **non ho più niente né da dire né da dare né da ricevere**.
Chi ha una dignità, una volta che capisce come è fatto Facebook, se ne tira fuori.
Così quando su Facebook ho scritto della mia decisione di andarmene e di farmi uno spazio per conto mio, non mi ha sorpreso - ma ha solo confermato le mie conclusioni - la preoccupazione di alcuni circa la mia perdita di visibilità, l'insofferenza di persone che pure a parole sembravano amici, e hanno puntato i piedi per terra e mettessero in dubbio la mia onestà intellettuale, facendomi passare come quello che parla contro Facebook per interesse. E il punto non è che da noi non ci saranno i like, perché, come è facilmente riscontrabile, i like ci sono eccome. Dirsi contro al desiderio di visibilità degli utenti - come fa Sfero, per esempio - significa colpire il motore che spinge le persone a condividere i propri contenuti gratis. Criticare l'obesità e, in generale, chi mangia come un maiale è cosa buona e giusta. Dire che mangiare fa male è una cretinata.
Da noi, non ci sono limiti alle possibilità di crescita di un utente. Il cosiddetto "core business" è in altre cose. Non ci sono limiti a quanto possa crescere un utente. Non speculiamo sulla voglia dell'utente di diventare famoso, anzi proprio il fatto che da noi possa, quando saremo entrati a pieno regime, diventare famoso molto più facilmente, lo responsabilizzerà molto di più, perché quando si raggiunge una platea molto più ampia, fatta anche da persone non amiche, si è molto più sottoposti alla critica e dunque si è costretti ad essere molto più attenti a quel che si dice.
I social network di oggi non responsabilizzano l'utente, non gli regalano una reale notorietà, ma soltanto una piccola porzione di potere col diritto di abusarne. In generale, chiunque scriva su un social network, su qualsiasi social network, conta qualcosa (cioè pochissimo) fin quando rimane su quello specifico social, perché per il resto - come è ovvio ancorché avvilente - i social gli sabotano qualsiasi tentativo di portare la propria notorietà fuori dai propri spazi.
Sì, è vero. Oggi la politica si fa sui social e, non di rado, gli spazi di dibattito generano autentici uragani che possono anche travolgere una classe politica. Il punto è che il battito di ali di una farfalla può scatenare un uragano, ma non fa diventare la farfalla uragano: rimarrà una farfalla che può essere schiacciata da una semplice mano. Basta che violi i fumosi "standard della comunità". Tutti voi che scrivete sui social, regalate da oltre dieci anni contenuti che consentono ai loro proprietari di fare una vita da nababbi, guadagnando sui fatti vostri che raccontate, sulle foto delle vostre tette o del vostro pettorale scolpito, sulle rivelazioni del vostro conto in banca, sulle vostre qualità di scrittori della domenica. Zuckerberg, Elon Musk, Larry Page e tutti gli altri, sono abilissimi a farvi credere che voi siate parte di un cambiamento. Quanto ciò sia una pura suggestione poi si vede alle elezioni quando i gonzi che fondano partiti che si nutrono di queste suggestioni, poi raccolgono percentuali da prefisso telefonico.
Dopodiché, che le reazioni alle novità siano sempre diffidenti, questo lo so benissimo. Chi trae nutrimento da qualcosa di tossico, difficilmente "smetterà" e dunque ("TU, sì PROPRIO TU, vuoi togliermi la dose che mi sono conquistato!") è ovvio che mi veda come un nemico.
Chi pensa che il massimo della vita sia ricevere migliaia di like perché ha urlato un coro da stadio in una curva fatta unicamente da tifosi della sua stessa squadra, è giusto che continui a nutrire questa suggestione, fino all'ennesimo ban, fino ad arrivare a Marco Rossi o Gennaro Esposito profilo numero cinquanta. Se volete proseguire così, chi sono io per farvi cambiare idea? Per me una roba così è da folli ("la follia è la pretesa di fare la stessa cosa e attendersi risultati diversi") e nel momento in cui ho realizzato tutto questo - e con molta umiltà ho ammesso a me stesso di aver anche io, inconsapevolmente, alimentato questo meccanismo - conseguenzialmente ho scelto un'altra strada. Se sarà quella migliore, lo deciderà una serie di fattori: se sono davvero bravo (nel mio mestiere lo sono) se sarò fortunato (anche il successo più sfavillante non sfugge alla fortuna) e se il mercato è pronto ad accettare un'idea come la mia. E' una strada impervia ma migliorabile. Ed è costruita da uno che sa come si costruiscono queste strade.
Dite che vi dispiace perdermi? Sono alibi. Se volete seguirmi, io ci sono. Se poi volete continuare a nutrire l'ego e il portafoglio di gente per la quale voi non siete niente, siete numeri, che vi devo dire? Buona fortuna. Ci rivediamo al prossimo account che vi viene chiuso senza spiegazioni. Una casa, se volete, dove venire a rifugiarvi, ora c'è. Se davvero vi manco, se mi volete bene, dove trovarmi lo sapete.
La scelta è la vostra.