L’Italia è un paese che fornisce motivi validissimi per farsi amare e molti altri per farsi odiare. Anche da chi, come chi scrive, ha fatto dell’amore per il suo paese non soltanto un sentimento da vivere con intensità, ardore e sofferenza per la triste sorte a cui sembra destinato, ma anche un destriero da cavalcare per conquistarsi una microfrazione di platea digitale, in una fase storica in cui molti fondamentalmente, delusi dalle promesse tradite della globalizzazione, vorrebbero ritornare alla nazione che fu. E pur tuttavia, la coscienza della persona intellettualmente onesta non si fa velare dal proprio bacino di lettori: i motivi per cui l’Italia si fa odiare sono così numerosi che ad enumerarli e approfondirli si farebbe notte. Oggi mi preme di analizzarne uno, in particolare. L’ipocrisia. Che, come ci suggerisce La Rochefocauld, è l’omaggio che il vizio rende alla virtù. E che in Italia si declina nello iato di un paese sempiternamente diviso tra l’ossessione per le regole e la propensione ad ignorarle, salvo poi divinizzare chi se ne proclama tutore, per poi violarle e mettere alla gogna chi fa altrettanto.
Non c'è bisogno di attingere alle cronache giudiziarie per sapere che Massimo Ferrero, presidente della pericolante Sampdoria, non è un santo. Non lo è perché a fare il mestiere dell’imprenditore in un paese dove al Padrone di Predappio, si sono sostituiti tanti padrini, non si può che essere arnesi da forca. Ma non è nemmeno il diavolo. Ha tuttavia tutti i torti di chi vive in un paese così serioso da non essere più preso per serio. E’ uno che usa le aziende per pagarsi gli affari privati, dicono col cipiglio “manipulitista” gli accusatori. Come se questa non fosse la costante di TUTTI gli uomini di affari di tutto il mondo. Con i soldi della Sampdoria, si dice, ha comprato l’appartamento alla figlia. Che ora lo accusa, dimenticando che forse, senza quel padre, sarebbe in mezzo ad una strada. Ma soprattutto “è un pagliaccio”, uno che non ha mai dato l’aria di prendersi troppo sul serio. E no, questo è il peccato peggiore di tutti. Guai raccontare barzellette nel paese da barzelletta a sua insaputa. Guai dire ciò che si pensa, nel paese delle bugie di stato. Guai a fare complimenti alle fanciulle nell'era in cui il maschio ideale è il castrato, e la toccata di culo in diretta televisiva è sacrilegio. Ma soprattutto, nell’era della globalizzazione più sfrenata, dove ogni squadra ha neri, asiatici (mancano solo i pellerossa e qualche marziano) dove ci si inginocchia a comando per i neri (solo per i neri, gli ispanici e gli asiatici continuano a non essere cagati) bisogna rigorosamente diffidare (si è letta anche questa scemenza) di un presidente non espressione della genovesità. Come se Mantovani, presidente che vinse tutto quel che la Sampdoria ha vinto nella sua storia, non fosse “romano de Roma”. Come se il genovesissimo Garrone avesse conseguito chissà quali risultati, a parte un exploit nei preliminari di Champions, poi seguito da una rovinosa retrocessione l’anno dopo. Guai se non ci si inginocchia di fronte ai totem della sampdorianità, fa niente se quei totem ben retribuiti per far vincere la Sampdoria, non hanno dato più nulla, a parte le chiacchiere, dal giorno in cui hanno smesso di giocare, circa trent’anni fa.
Il tutto mentre nel calcio si continua a rubare, a frodare il Fisco, ad accasciarsi in campo trafitti da chissà cosa (ma un po' tutti sanno cosa), a truffare gli azionisti. Ma il problema è Ferrero che, ohibò, ha osato rubare qualche centinaio di migliaia di euro dai conti della società. E sarà pure. Solo che, casualmente, la gente se ne ricorda soltanto adesso, non prima quando faceva fallire le altre aziende. Perché va bene tutto in questo paese ma guai se si tocca ‘o pallone. Va benissimo far finire centinaia di migliaia di lavoratori sul lastrico per colpa di psicopatici e criminali internazionali, ma guai se fallisce la squadra del cuore. Solo allora i cani da guardia del tifo organizzato, aizzati chissà da chi per tirare la volata a chissà chi, si ricordano che “per colpa del presidente, un sacco di lavoratori sono in mezzo ad una strada”, che poi alla fine spesso sono soltanto quel magazziniere o quel massaggiatore sottopagato con due spicci, di cui prima ai tifosi fregava zero.
Senza volersi sostituire né ai giudici che lo stanno perseguendo, la realtà è molto semplice.
Ferrero non paga i suoi errori di bilancio. Paga non aver capito che in Italia si siede al tavolo dei grandi solo con la mutria e il muso lungo di chi crede di saperla lunga, di chi confonde la seriosità con la serietà. Forse Ferrero, oltre a non essere serioso, non è nemmeno serio. Ma non sono seri nemmeno i gestori della gogna nella quale oggi è chiuso, riempito dagli strali di intere schiere di falliti che non sanno nemmeno coniugare un congiuntivo. Non sono seri quei tifosi che ancora non hanno capito che Viperetta è solo una delle tante finestre rotte, di sicuro non la più grande né la peggio messa, di un palazzo, quello del calcio, sul punto di crollare. E di un paese, l’Italia, che, serissima, a ciglia aggrottate, con sguardo severo, è ad un passo dal fallimento economico, politico e culturale. Nel paese che ha della serietà un'idea macchiettistica, si sono fatti passare in cavalleria in questi due anni e mezzo discorsi degni del peggior regime totalitario, solo che a quanto pare, se non si hanno i baffi a manubrio e la voce stentorea, non si fa presa sugli allarmisti antifascisti. Seriamente, con lo sguardo di chi la sa lunga, Mario Monti dice che la comunicazione deve essere meno democratica e Mario Draghi ha detto in mondovisione che chi non si vaccina, usufruendo di un proprio diritto, è un vigliacco.
Non c'è bisogno di attingere alle cronache giudiziarie per sapere che Massimo Ferrero, presidente della pericolante Sampdoria, non è un santo. Non lo è perché a fare il mestiere dell’imprenditore in un paese dove al Padrone di Predappio, si sono sostituiti tanti padrini, non si può che essere arnesi da forca. Ma non è nemmeno il diavolo. Ha tuttavia tutti i torti di chi vive in un paese così serioso da non essere più preso per serio. E’ uno che usa le aziende per pagarsi gli affari privati, dicono col cipiglio “manipulitista” gli accusatori. Come se questa non fosse la costante di TUTTI gli uomini di affari di tutto il mondo. Con i soldi della Sampdoria, si dice, ha comprato l’appartamento alla figlia. Che ora lo accusa, dimenticando che forse, senza quel padre, sarebbe in mezzo ad una strada. Ma soprattutto “è un pagliaccio”, uno che non ha mai dato l’aria di prendersi troppo sul serio. E no, questo è il peccato peggiore di tutti. Guai raccontare barzellette nel paese da barzelletta a sua insaputa. Guai dire ciò che si pensa, nel paese delle bugie di stato. Guai a fare complimenti alle fanciulle nell'era in cui il maschio ideale è il castrato, e la toccata di culo in diretta televisiva è sacrilegio. Ma soprattutto, nell’era della globalizzazione più sfrenata, dove ogni squadra ha neri, asiatici (mancano solo i pellerossa e qualche marziano) dove ci si inginocchia a comando per i neri (solo per i neri, gli ispanici e gli asiatici continuano a non essere cagati) bisogna rigorosamente diffidare (si è letta anche questa scemenza) di un presidente non espressione della genovesità. Come se Mantovani, presidente che vinse tutto quel che la Sampdoria ha vinto nella sua storia, non fosse “romano de Roma”. Come se il genovesissimo Garrone avesse conseguito chissà quali risultati, a parte un exploit nei preliminari di Champions, poi seguito da una rovinosa retrocessione l’anno dopo. Guai se non ci si inginocchia di fronte ai totem della sampdorianità, fa niente se quei totem ben retribuiti per far vincere la Sampdoria, non hanno dato più nulla, a parte le chiacchiere, dal giorno in cui hanno smesso di giocare, circa trent’anni fa.
Il tutto mentre nel calcio si continua a rubare, a frodare il Fisco, ad accasciarsi in campo trafitti da chissà cosa (ma un po' tutti sanno cosa), a truffare gli azionisti. Ma il problema è Ferrero che, ohibò, ha osato rubare qualche centinaio di migliaia di euro dai conti della società. E sarà pure. Solo che, casualmente, la gente se ne ricorda soltanto adesso, non prima quando faceva fallire le altre aziende. Perché va bene tutto in questo paese ma guai se si tocca ‘o pallone. Va benissimo far finire centinaia di migliaia di lavoratori sul lastrico per colpa di psicopatici e criminali internazionali, ma guai se fallisce la squadra del cuore. Solo allora i cani da guardia del tifo organizzato, aizzati chissà da chi per tirare la volata a chissà chi, si ricordano che “per colpa del presidente, un sacco di lavoratori sono in mezzo ad una strada”, che poi alla fine spesso sono soltanto quel magazziniere o quel massaggiatore sottopagato con due spicci, di cui prima ai tifosi fregava zero.
Senza volersi sostituire né ai giudici che lo stanno perseguendo, la realtà è molto semplice.
Ferrero non paga i suoi errori di bilancio. Paga non aver capito che in Italia si siede al tavolo dei grandi solo con la mutria e il muso lungo di chi crede di saperla lunga, di chi confonde la seriosità con la serietà. Forse Ferrero, oltre a non essere serioso, non è nemmeno serio. Ma non sono seri nemmeno i gestori della gogna nella quale oggi è chiuso, riempito dagli strali di intere schiere di falliti che non sanno nemmeno coniugare un congiuntivo. Non sono seri quei tifosi che ancora non hanno capito che Viperetta è solo una delle tante finestre rotte, di sicuro non la più grande né la peggio messa, di un palazzo, quello del calcio, sul punto di crollare. E di un paese, l’Italia, che, serissima, a ciglia aggrottate, con sguardo severo, è ad un passo dal fallimento economico, politico e culturale. Nel paese che ha della serietà un'idea macchiettistica, si sono fatti passare in cavalleria in questi due anni e mezzo discorsi degni del peggior regime totalitario, solo che a quanto pare, se non si hanno i baffi a manubrio e la voce stentorea, non si fa presa sugli allarmisti antifascisti. Seriamente, con lo sguardo di chi la sa lunga, Mario Monti dice che la comunicazione deve essere meno democratica e Mario Draghi ha detto in mondovisione che chi non si vaccina, usufruendo di un proprio diritto, è un vigliacco.
Il male non è certo nei pagliacci. Anzi, per quel che può contare - ma non essendo tifoso della Sampdoria, certo non posso rimproverargli altro - io posso solo ringraziare Ferrero per avermi regalato un po’ di buonumore. Per avermelo regalato volontariamente quando era presidente della Sampdoria e involontariamente ora che è in disgrazia. Il buonumore - che poi è malumore che si sforza di non tradursi in ira funesta - di chi sa che ad aver rovinato l’Italia non sono i pagliacci ma quelli che, abilissimi a confondere la serietà con la seriosità, nonostante questo (o forse proprio per questo) non sono seri proprio per nulla.