Nelle ultime ore pidioti e affini hanno espresso indignazione e dolore per l'esclusione di Giorgia Meloni dal vertice franco-anglo-tedesco-americano di Berlino.
Fa parte dell'offensiva d'autunno scatenata dalle sinistre contro questo governicchio che tira a campare; offensiva che prevede altresì la richiesta di avvio di una procedura d'infrazione ai danni dell'Italia riguardo la illiceità del modello Albania.
Al grido di “Italia retrocessa”, i gombagni si sono fatti assalire da un empito di “quandoceraluismo”. Apro una piccola parentesi. Il “Quando c'era Lui” o “Quando c'ero Io” è il ritornello preferito di una serie di amministratori (non voglio chiamarli politici) maldestri: Rutelli ripete “Quando c'ero io al comune di Roma...” (gli insegnanti di inglese ridevano a crepapelle); D'Alema sbotta Quando c'ero Io al governo (è finita che ti sei comprato la barca a vela); Alemanno, Fini e persino Di Maio snocciolano consigli non richiesti e rievocano con una punta di nostalgia e un filo di rammarico le loro gesta, manco fossero Bismarck o Churchill e non dei pinco pallini qualunque. Chiusa parentesi. Non appagati, i piddini hanno paragonato l'umiliazione della Meloni, “respinta come lei respinge i migranti”, apoteosi della logica semicolta, al credito e al rispetto accordato al nostro paese quando a Palazzo Chigi c'era LVI, Mario Draghi, il professionista del “mestiere” stimatissimo dai capi di Stato, ascoltatissimo nei consessi internazionali e ricevutissimo dalle cancellerie dell'intero globo terracqueo. Gombagni, seguite le mie labbra: Draghi è ammirato e temuto non in quanto italiano illustre bensì in quanto plenipotenziario dell'Alta Finanza. In realtà le personalità politiche sane, pur abbondando coi convenevoli, non vedono l'ora di accomiatarsi da questo vandalo dell'economia travestito da viscido lacchè e di accompagnarlo alla porta come si fa con gli ospiti indesiderati, gli usceri e gli jettatori. Ve lo ricordate? Era il giugno del 2022 e il Migliore faceva parte del trio di bacchettoni atlantisti diretto a Kiev in vagone letto, una mossa improvvida che ha sancito la rovina dei rispettivi popoli. La trinità blasfema era composta da Draghi con l'indice mollemente accusatorio, da Scholz ridanciano in magliettina da anziano giocatore di carte scoreggione e dal capotavola in maniche di camicia, ossia il toy boy di quella sottospecie di Amanda Lear, la Brigitte con lo Stecco Ducale incorporato.
Prima di allora credevo fosse impossibile concepire l'allegoria della sfiga nera, ma mi sbagliavo. Pur scervellandomi all'inverosimile, non riesco a comprendere l'utilità di queste passerelle patetiche in cui alcuni re travicelli che mandano avanti (si fa per dire) ex grandi potenze europee vanno a rapporto dal rappresentante di una nazione extraeuropea. Per fare che, in sostanza? Sostenere lo sforzo bellico di una non-nazione extracomunitaria (l'Ucraina). Che senso ha? Nessuno. Per noi, paese occupato e commissariato, un vertice del genere è assolutamente privo di significato, anzi dannoso a tempo pieno.
La vera umiliazione consiste nell'essere coinvolti in siffatti spettacoli che poco o nulla hanno a che vedere con gli affari internazionali.
Cosa può mai fare la Meloni con quei quattro, il padrone e i maggiordomi, se non lo sguattero di complemento?
Lo sguattero che prende ordini. Ma per trasmettere direttive basta e avanza un colpo di telefono da parte dell'ambasciata statunitense.
Bearsi ascoltando la dodecafonia gastrica di Biden? Anche no, grazie.
Meglio disertare certi presunti “impegni internazionali” di dubbia utilità e di gusto discutibile e starsene a casa. Obbedire per obbedire, cominciamo col liberarci dall'etichetta e dalle forme che non fanno altro che paludare un lungo e avvilente servaggio.

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