Sono ostile al sionismo perché, come l'americanismo, mina la sicurezza e l'interesse nazionale italiano. Se la sicurezza nazionale lo richiedesse e le condizioni oggettive lo consentissero, non esiterei ad espellere dall'Italia l'intera comunità ebraica e americana (o russa, cinese e così via). Al complotto ebraico, però, non ho mai creduto.
Il giudaismo internazionale cospira ai danni dell'umanità? Tali asserzioni non posso non accoglierle con scettico distacco.
La questione è molto più complessa. Gli Stati Uniti sono al contempo apprendista stregone e gigante scemo traviato da Israele, sostiene Alessio Paolo Morrone. Ma ha anche scritto che Israele è una propaggine non autosufficiente degli USA, il che contraddice l'assunto metaforico del gigante scemo. Ora, a mio modo di vedere il gigante americano è tutt'altro che stupido, e le sue azioni, ancorché scellerate (ma in Politica le condanne morali lasciano il tempo che trovano), rispondono a un preciso disegno razionale.
Cerchiamo di riflettere. Innanzitutto dal 7 ottobre 2023 si combatte in Israele e d'intorni con armi statunitensi e per gli interessi statunitensi, mica negli Stati Uniti per gli interessi israeliani. Tel Aviv poteva benissimo acconsentire alla formazione di uno stato palestinese e sforzarsi di convivere in pace con i propri vicini, costruendo il Grande Israele con mezzi meno cruenti. Ma non ha voluto; e del resto, senza l'avallo di Washington, non avrebbe potuto. Le guerre per Sion, ovvero l'invasione dell'Iraq e le varie primavere arabe che hanno disarticolato Nordafrica e Medio Oriente non avrebbero avuto luogo senza il beneplacito di Washington e la complicità di certe nazioni europee, loro sì giganti stupidi tirati per la giacchetta e menati per il naso.
E il beneplacito e il robusto sostegno sono arrivati perché Washington aveva il suo bel tornaconto. Quale, di preciso? Acuire le divisioni in seno alle nazioni musulmane e all'umma. Israele, che praticamente nasce con la fine dell'Impero Ottomano, serve per l'appunto a disunire, indebolire e sorvegliare brutalmente il già frastagliato mondo arabo-musulmano, specie la fascia che va dalla Libia all'Eufrate e che un tempo era compresa nel composito califfato-sultanato ottomano.
Una fascia che rappresenta il fianco sud dell'Europa, un prezioso serbatoio di risorse umane e materiali che tornerebbero utili al Vecchio Continente e allo stesso Islam. E che gli occidentali, naturalmente, non vogliono lasciare alla Cina. Un serbatoio che fungerebbe da preziosa alternativa a una Russia ambigua e sempre pronta a rispolverare lo spirito di Yalta. Perciò, dal 2003 al 2015, gli americani hanno neutralizzato un bel po' di cani sciolti pericolosi per l'esistenza del loro proxy in Terra Santa, ma anche, direi quasi soprattutto, per togliere risorse e potenziali mercati ai cosiddetti “alleati” europei.
Poi mi preme esporre una serie di considerazioni di carattere generale ma fondamentali ai fini della comprensione del mio punto di vista.
Gli ebrei hanno acquisito importanza parallelamente all'ascesa dei popoli anglosassoni di religione protestante e della progressiva secolarizzazione dell'Europa, favorita dalle rivoluzioni di stampo liberale, laico e socialista. E la contemporanea ascesa di ebrei e anglosassoni non è affatto casuale. La società anglosassone è ebraizzante perché, in quanto protestante, si immedesima in maniera quasi viscerale in quel “grande romanzo identitario” (come lo definisce Costanzo Preve) che è l'Antico Testamento. Concetti come Popolo Eletto da Dio, la visione messianica della Storia, l'agognata Terra promessa ove i padri pellegrini giunsero in seguito a varie peripezie e persecuzioni formano una rete inestricabile di analogie che unisce la storia moderna ebraica e quella anglosassone, specialmente statunitense. Tali analogie hanno fatto sì che si stabilisse una forma di solidarietà comune e si sviluppassero una serie di cointeressenze. “Battisti e metodisti videro con grande favore la nascita di un focolare ebraico in Palestina alla fine della Grande guerra. Come gli evangelici americani, molti di essi attendevano la seconda venuta di Cristo e credevano che avrebbe avuto luogo, secondo le profezie, soltanto dopo il ritorno degli ebrei nella Terra promessa”. Lo ha dichiarato Sergio Romano, non un truce redattore del Der Stürmer. Come si evince dal mio sunto, si tratta di una questione assai complessa che non può essere semplificata eccessivamente, ridotta a stupidità (gli americani non sono stupidi, semmai lo sono molti loro detrattori improvvisati, perlopiù ingenui e arroganti), ad abracadabra cabalistici, a onnipotenti lobby bancarie e sette rabbiniche, nasi adunchi, mani artigliate e il resto del repertorio del complottismo di bassa lega. Gli ebrei sono influenti negli States, e alla maggioranza degli statunitensi sta bene così perché, come si suol dire, chi si somiglia si piglia. Nel Nuovo Mondo essi hanno trovato un sistema congeniale, è questo è quanto. Se l'ebreo venisse percepito come un ingombro o un nemico esistenziale, state sicuro che farebbe la fine dei pellerossa o dei piantatori del sud schiavista.
Al pataffione accademico John Mearsheimer, che segue la pista del denaro e sottolinea la massiccia presenza giudaica nelle istituzioni americane, faccio notare che solitamente chi comanda sul serio non si espone e non sta sulla bocca di tutti.
Gli interventi statunitensi in Medio Oriente suonano assurdi perché si ignorano o non si vogliono ammettere le profonde radici culturali e le cointeressenze che legano anglosassoni ed ebrei (che io amo chiamare anglotalmudici), e si pensa che la postura ideale per il gigante yankee sia l'isolazionismo. Ma non è così, non è mai stato così. Gli Stati Uniti d'America sono stati isolazionisti nel XIX rispetto all'Europa perché erano militarmente troppo deboli. La realtà è che, quando hanno potuto, hanno esteso progressivamente la loro Frontiera verso est (l'Europa dal loro punto di osservazione si colloca a est) perché questo stava scritto nel loro Destino Manifesto. L'isolazionismo, altresì, lo scoraggiavano e lo scoraggiano precise condizioni oggettive, poiché l'enorme capacità produttiva nordamericana, almeno nella prima metà del Novecento, necessitava di mercati di sbocco;
oggi, invece, ha bisogno di impossessarsi di territori ricchi di materie prime in modo da conferire un corrispettivo solido al mare di liquidità finanziaria di Wall Street, onde evitare di far crollare il castello di carte edificato dalla stampante di dollari. Se durante il corso del Novecento gli Stati Uniti si fossero isolati, probabilmente sarebbero implosi.
Ergo gli stupri di gruppo della NATO e i massacri di Israele hanno una ragione d'essere validissima, diciamo pure esistenziale: mantenere in piedi la baracca. L'isolazionismo rappresenta dunque una postura innaturale e antistorica per gli USA, perché non si sposa né con la religione civile né con il tornaconto di élites che mirano a conquistare il mondo – e ci sono quasi riusciti – e lo spazio (si guardi alle fisime marziane di Musk). In conclusione, per il sottoscritto sionisti e yankee pari sono e vanno combattuti strenuamente a ogni livello. E non mi importa un fico secco sapere chi dei due – scusate la volgarità – è il frocio passivo.

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