Tappetari e ciabattari in queste ore si staranno chiedendo, mentre si grattano le corna bovine, come abbia fatto l'ingegnoso autore del colpo maestro dei cercapersone esplosivi che ieri ha lasciato di stucco Hezbollah in Libano. Mini carica esplosiva collocata con la complicità del produttore o surriscaldamento indotto delle batterie al litio? Pur non essendo il deus ex machina che entusiasma i sionisti, rimane pur sempre una dimostrazione lampante della rimarchevole superiorità tecnologica e/o spionistica dello Stato davidico. Superiorità sottaciuta e sfoderata al momento opportuno. Insomma, l'esatto opposto del ridicolo esibizionismo autocelebrativo degli smargiassi come Medvedev, i quali prima millantano armi potenti e segrete, poi si accontentano di testarle e infine si fanno mettere all'angolo. Si è trattato di un colpo basso, ma anche di un colpo da maestro. E la si finisca una buona volta di discernere l'operazione bellica dal terrorismo, poiché in amore e in guerra tutto è permesso. Se nel calcio, che è uno sport regolato dall'arbitro, c'è posto per la subdola provocazione di Materazzi e la relativa testata da caprone di Zidane, figuriamoci in quell'agone della violenza organizzata che è la guerra, dove non esistono maestre o autorità supreme a cui appellarsi, e dove il traguardo è la sopravvivenza della stirpe. I ribelli siriani a Idlib – scrive Maurizio Blondet - celebrano le migliaia di militanti di Hezbollah feriti/uccisi oggi distribuendo caramelle. Ricordate che Hezbollah ha più nemici tra i suoi “fratelli” in Siria e Libano di quanto la maggior parte delle persone creda…
L'ho affermato lo scorso anno e lo ripeto: i popoli arabi, e quelli islamici in generale, sono troppo corrotti, troppo poveri e troppo litigiosi - un eterno campo di Agramante - per riuscire ad affrancarsi dall'Impero del Caos vaccaro-israelita. Non a caso ci provano invano da settant'anni. Al trionfo del "fronte della resistenza" possono credere soltanto quelli che leggono la sconfitta di Tel Aviv esclusivamente nelle cifre: nella quantità di blindati messi fuori uso, nel numero di soldati caduti o feriti o nella serrata delle attività economiche che caratterizza gli ultimi undici mesi. Ma quando si combatte si perdono giocoforza uomini e mezzi. E poi Israele è abituato a vivere sotto assedio, la sua popolazione conosce ancora il significato di parole come sacrificio e dovere, e sa che in guerra vige lo stato d'eccezione anche per gli affari. Guardiamo invece come è ridotto il Medio Oriente: la Turchia sbuffa e minaccia ma sta a cuccia; la Giordania scodinzola; la Siria, forte della "protezione" russa, si lecca le ferite e cerca di scansare altre bastonate.
E che dire del colabrodo persiano, un regime di rara viltà che rischia di farsi detonare in faccia non il cellulare bensì la pentola a pressione dei rancori etnici, degli smottamenti politici e delle tensioni sociali accumulate dal 1979. Molti sostengono che Teheran stia facendo implodere lentamente Israele; a me pare il contrario: l'onore troppe volte infranto e mai riscattato può far suonare le campane a morto per gli ayatollah. Non è stata una mossa geniale aver spalancato le porte a un vicino – la Russia – che probabilmente pratica il doppio gioco e che ti riempie di armi che non puoi o non vuoi impiegare. I cinesi non hanno alcuna voglia di impelagarsi nel ginepraio levantino; a loro importa solo mantenere una calma relativa nella zona, senza inimicarsi i sauditi e il resto degli attori regionali. A noi spetta la croce di convivere forzatamente con "alleati" in grado di attuare praticamente qualsiasi colpo basso.

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