Togliamo un anno alle scuole secondarie di secondo grado, facciamo entrare i giovani nel mercato del lavoro con dodici mesi di anticipo. Insomma, imitiamo la Germania.
La proposta in sé non è poi così malvagia, ma forse, anziché mettere il carro davanti ai buoi, dovremmo prima rispettare il nostro sistema manifatturiero e cercare di rianimare l'industria, in caduta libera da un anno e mezzo. Vaste programme, come si suol dire. Male che vada, il giovane prematuramente strappato allo studio potrà scegliere fra tante figure professionali: shaker, bagnino, cameriere, cuoco, cubista, sex worker, stella di OnlyFans. Che fine ha fatto la parola d'ordine delle elezioni europee (sic!) “Meno Europa, più Italia”? Adesso va di moda un'altra parola d'ordine: "Più Europa, ma soprattutto più Thailandia e Porto Rico".
La destrezza con cui la Lega (Nord) è riuscita a riciclarsi, ad ammaliare l'elettorato di orientamento conservatore e patriottico e a strumentalizzarne timori e aspirazioni, ha del prodigioso. Il merito non spetta soltanto alla truppa di euroscettici in cerca d'autore candidata a partire dal 2018, no: dev'esserci lo zampino del soprannaturale, di una qualche stregoneria padana. Eppure il Carroccio è rimasto uguale a sé stesso; è sempre quello che tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta del secolo scorso ha convogliato il risentimento della gente comune nei confronti del centralismo partitocratico e del mito “fascista” di Roma ladrona. A quel Carroccio davano man forte le Leghe regionali sponsorizzate dalla solita compagnia di giro del sottobosco atlantista: massoneria, mafie, sobillatori e furfanti come Gelli e Delle Chiaie. Il vento del nord lumbard, coadiuvato dall'eterogeneo trio dei marginali composto da Pds, lebbra pannelliana e Msi, letteralmente scatenato nella sua insensata follia giacobina fatta di amore per il caos e quesiti referendari, ha contribuito a spazzare via il “mondo di ieri” della Prima Repubblica, senz'altro imperfetto ma sicuramente migliore dell'attuale. Il leghista, specie quello della prima ora, nutriva – e nutre tuttora, anche se riesce abbastanza bene a dissimulare i propri sentimenti – un odio atavico e viscerale per l'Italia quinta potenza economica, l'Italia della lir(ett)a, l'Italia filoaraba malgrado la sovranità limitata. La Lega è figlia del politologo Gianfranco Miglio, il teorico che voleva trasformare la Penisola in uno Stato federale suddiviso in tre macro-regioni: Nord rimorchiato dalla tanto vituperata – a parole – Mitteleuropa, Centro e Sud.
Miglio vedeva nella secessione l'unico rimedio contro il peccato originale del Risorgimento.
Ricordo ancora il sensazionalismo degli spot elettorali in cui Umberto Bossi scandiva slogan separatisti (“Nord, Centro, Sud: realtà differenti per problemi indifferenti”) con i Carmina Burana di Carl Orff in sottofondo, colonna sonora di mille trailer tromboneschi.
Come un'entità maligna di questo tipo sia riuscita – con successo, anche se transitoriamente (i sondaggi e l'esito delle ultime elezioni sono impietosi) – a spacciarsi per un partito antisistema, sovranista e alfiere della restaurazione monetaria, rimane un mistero gaudioso.
La proposta in sé non è poi così malvagia, ma forse, anziché mettere il carro davanti ai buoi, dovremmo prima rispettare il nostro sistema manifatturiero e cercare di rianimare l'industria, in caduta libera da un anno e mezzo. Vaste programme, come si suol dire. Male che vada, il giovane prematuramente strappato allo studio potrà scegliere fra tante figure professionali: shaker, bagnino, cameriere, cuoco, cubista, sex worker, stella di OnlyFans. Che fine ha fatto la parola d'ordine delle elezioni europee (sic!) “Meno Europa, più Italia”? Adesso va di moda un'altra parola d'ordine: "Più Europa, ma soprattutto più Thailandia e Porto Rico".
La destrezza con cui la Lega (Nord) è riuscita a riciclarsi, ad ammaliare l'elettorato di orientamento conservatore e patriottico e a strumentalizzarne timori e aspirazioni, ha del prodigioso. Il merito non spetta soltanto alla truppa di euroscettici in cerca d'autore candidata a partire dal 2018, no: dev'esserci lo zampino del soprannaturale, di una qualche stregoneria padana. Eppure il Carroccio è rimasto uguale a sé stesso; è sempre quello che tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta del secolo scorso ha convogliato il risentimento della gente comune nei confronti del centralismo partitocratico e del mito “fascista” di Roma ladrona. A quel Carroccio davano man forte le Leghe regionali sponsorizzate dalla solita compagnia di giro del sottobosco atlantista: massoneria, mafie, sobillatori e furfanti come Gelli e Delle Chiaie. Il vento del nord lumbard, coadiuvato dall'eterogeneo trio dei marginali composto da Pds, lebbra pannelliana e Msi, letteralmente scatenato nella sua insensata follia giacobina fatta di amore per il caos e quesiti referendari, ha contribuito a spazzare via il “mondo di ieri” della Prima Repubblica, senz'altro imperfetto ma sicuramente migliore dell'attuale. Il leghista, specie quello della prima ora, nutriva – e nutre tuttora, anche se riesce abbastanza bene a dissimulare i propri sentimenti – un odio atavico e viscerale per l'Italia quinta potenza economica, l'Italia della lir(ett)a, l'Italia filoaraba malgrado la sovranità limitata. La Lega è figlia del politologo Gianfranco Miglio, il teorico che voleva trasformare la Penisola in uno Stato federale suddiviso in tre macro-regioni: Nord rimorchiato dalla tanto vituperata – a parole – Mitteleuropa, Centro e Sud.
Miglio vedeva nella secessione l'unico rimedio contro il peccato originale del Risorgimento.
Ricordo ancora il sensazionalismo degli spot elettorali in cui Umberto Bossi scandiva slogan separatisti (“Nord, Centro, Sud: realtà differenti per problemi indifferenti”) con i Carmina Burana di Carl Orff in sottofondo, colonna sonora di mille trailer tromboneschi.
Come un'entità maligna di questo tipo sia riuscita – con successo, anche se transitoriamente (i sondaggi e l'esito delle ultime elezioni sono impietosi) – a spacciarsi per un partito antisistema, sovranista e alfiere della restaurazione monetaria, rimane un mistero gaudioso.
Un grande mistero dei nostri tempi.