I boss della ristorazione lamentano la carenza di personale qualificato. È colpa del reddito di cittadinanza e delle troppe tutele sindacali, sostengono. Illustre titolare del localino caro alla fighetteria anglofila di Venezia e illustre proprietario della trattoria “Qui si mangia meno caro” di Canicattì, l'handicap di non riuscire a reperire personale all'altezza non vi esime dalle critiche; il demerito è anche vostro. Perché? Perché magari siete tirchi o troppo esigenti e boriosi. Io stento a credere che un barista provetto se ne stia stravaccato sul divano a scroccare ben magri sussidi. Profili del genere colgono l'occasione al volo e si imbarcano in qualche nave da crociera o vanno dove le condizioni contrattuali sono ottimali e la paga è più alta. O dove il padrone è meno esoso, il panorama ameno, il clima mite o semplicemente circola fauna muliebre di livello eccelso. Una giornata intera immerso nella cucina umida e maleodorante di una pretenziosa osteria lagunare? Ma anche no! Preferisco, a parità di salario, rompermi la schiena a Ischia, alle Canarie... Oppure trasferirmi dove posso ambire a guadagni maggiori, sic et simpliciter: se devo vendermi, ripete tra sé e sé il cuoco o il cameriere, mi vendo bene e non per due spicci. Caspita, non sono io che ho perso il lavoro, è il lavoro che ha perso me, per dirla con il protagonista di Un giorno di ordinaria follia. Mio fratello da macellaio autonomo è diventato dipendente; ora, approfittando del suo status – invero raro – di macellaio con quasi trent'anni di esperienza, può permettersi il lusso di scegliere datori di lavoro chi gli garantiscono una lauta busta paga, ferie lunghe e meno imposizioni bislacche (vaccino). Anche questa è una vittoria della Libertà del 1789 e del 1989, poiché la mobilità dei lavoratori non è stata concepita solamente per massimizzare i profitti di un pugno di magnaschei, ma anche per affrancare il dipendente laborioso e onesto. Giusto? Giusto!? È il libero mercato del lavoro, bellezza. Se è ingiusto l'assistenzialismo che protegge il dipendente, perché dovrebbe essere giusto l'assistenzialismo che protegge il padrone? Non nascondiamoci dietro un dito, a non pochi uomini d'impresa piace suggere la mammellona pubblica. Esigere dallo Stato la rimozione di sussidi e ammennicoli allo scopo neanche tanto velato di obbligare la gente ad accettare le “loro” condizioni che cos'è se non bieco interventismo statale? E perché poi assistere i traffichini di tegami, fornelli e tavolini all'aperto, che sicuramente hanno poco o nulla da spartire con i settori strategici e la sicurezza nazionale? Ovviamente non lo ammetteranno mai e continueranno ad ammantare di propositi nobili le loro brame particolaristiche: senso del dovere, sacrificio, passione (si sgobba per “passione”, non per la grana). Certo, spesso tali atteggiamenti celano paure, frustrazioni, illusioni perdute, tutte cose comprensibili. Forse nascondono situazioni disastrose, ristoranti in gravi ambasce gravati da debiti difficilmente estinguibili a fronte del calo degli utili, bar coi conti in rosso che una volta erano prestigiosi e venivano frequentati dalla crème del bel mondo. Capisco, la vita è dura. Ma non è neanche carino restare a galla aggrappandosi alle caviglie della comunità come un peso morto, affidandosi a manodopera mal retribuita, talvolta inesperta, insoddisfatta e svogliata. Se non sei in grado di motivare la tua truppa e di soddisfarne le richieste, è inutile tirar fuori l'espediente della passione o la nostalgia dei tempi in cui Berta filava, quando ci si faceva il mazzo 14 ore di fila. I ragazzi di oggi non si fanno più incantare da queste guasconate da boomer, costretti come sono ad aggirarsi nel limbo del precariato, a imparacchiare mille mestieri tra una notte ad alto tasso alcolemico in discoteca, una chat e una partita alla Playstation. I giovani eseguono come automi quanto viene loro richiesto e amen. Il fuoco sacro e la vocazione? Ma mi faccia il piacere. Ora, cari albergatori e ristoratori, se non ce la fate a tirare avanti mantenendo il decoro e il rispetto che dovete a voi stessi e ai vostri impiegati, serrate bottega e cambiate aria. È il libero mercato che ve lo chiede. Avete voluto la grande trasformazione? Avete voluto introdurre lo sfrenato edonismo americano e mandare in soffitta la prudenza europea? Avete voluto, per convenienza o avidità, affidarvi a gente che fornisce prestazioni professionali esclusivamente in cambio di una paga, senza tarli sulla coscienza, senza la complicazione di assolvere un dovere civile nei confronti della Patria, senza afflati eroistici da samurai giapponese? Perfetto, ora pedalate.