Sono passate poche ore dal 43esimo anniversario della strage di Bologna.
Vorrei invitarvi a fare alcune riflessioni. Da troppi anni si accavallano teoremi iperpoliticizzati volti a chiarire l’origine di quel tragico evento, uno dei tanti che funestarono la Prima Repubblica.
Gli autori furono i Nar o i comunisti palestinesi? Non ve lo so dire; per me il nocciolo della questione è un altro. Scaricare la colpa sulle ideologie rosse e nere (eterna riproposizione del conflitto tra guelfi e ghibellini o tra opposte signorie, nel mentre lo straniero ci occupa e ci depreda), che poi è ciò che hanno fatto i depistatori insiti nelle forze dell’ordine, è un modo non particolarmente brillante di ricondurre al tinello domestico affari e interessi assai più grandi.
La dicitura “strage fascista” non significa nulla. Si rassegni il comitato dei parenti delle vittime: l’obiettivo non era la Repubblichetta Democratica parasovietica dell’Emilia-Romagna. E dico ciò non perché io sia un destrorso; io mi limito a vagliare spassionatamente le ideologie del Novecento poiché mi interessa carpire la verità, e non tifare o restaurare passioni politiche morte e sepolte. La pista palestinese sembra suffragata dalla presenza – a Bologna, quel fatidico 2 agosto – di Thomas Kram, bombarolo tedesco di estrema sinistra legato al terrorista internazionale Carlos. Cosa dimostrerebbe ciò? Nulla, giacché pure il “nero” Paolo Bellini girovagava per la città felsinea quel giorno. Comunque stiano le cose Kram, Bellini, Mambro e Fioravanti rimangono dei malviventi (alcuni di loro fecero i sicari per conto della malavita organizzata), come il rosso Cesare Battisti e la nutrita compagnia di macellai di ambo gli schieramenti. E poi, anche se gli autori materiali fossero nella sfilza di nomi venuti fuori negli ultimi quarant’anni, il mistero sarebbe risolto a metà. Si perché mancherebbero all'appello il movente e soprattutto gli ideatori. Per quanto concerne l’ipotesi Kram-Palestina, il movente sarebbe stato la violazione (a quanto pare il blocco di personale e materiali destinati alla resistenza antisionista) degli accordi previsti dal cosiddetto lodo Moro. Fatemi capire, i palestinesi trucidano 80 poveracci per vendicarsi di una sorta di disguido burocratico, rischiando di alienarsi i favori di un prezioso simpatizzante-alleato? A voi vi convince? A me non tanto. Faccio prima ad addossare a Tel Aviv la paternità dell’attentato: Israele, stanco dell’attivismo italiano in Medio Oriente e stufo di piangere i propri cittadini, morti anche a causa del supporto italiano, decide di passare all’attacco. Plausibile? Secondo me si. Rammentate l'attentato a Wojtyla? I mandanti erano sovietici, i mandatari i servizi segreti bulgari e la mano che sparò era quella del turco Alì Agca, terrorista di... estrema destra. Ma come, i sovietici si servono di un neofascista per dare una lezione al Papa? Possibile, anzi regolare. Oltre a riproporre la secolare litigiosità italica e a biografare splendidamente la nostra storia nazionale, la strategia della tensione segnò il trionfo dell’attentato sotto falsa bandiera, false flag, come dicono “gli studiati” che sanno l’inglese e, a volte, la sanno lunga. Impossibile, direte voi. Liberi di pensarlo. Però anche le Brigate Rosse, come ogni movimento eversivo, erano sovragestite, nella fattispecie da un uomo di Edgardo Sogno, tale Roberto Dotti, ex partigiano garibaldino passato al fronte atlantico. E chi fu la preda più importante delle BR? Aldo Moro, il regista del golpe di velluto che inaugurò l’era Gheddafi e, con Stefano Giovannone (il nostro morigerato Bond orfano di un Ian Fleming capace di cantarne le gesta), l’artefice del tacito patto di non aggressione stipulato tra Roma e FPLP. Io vorrei segnalarvi piste molto più persuasive e moventi ben più pregnanti. Piazza Fontana avvenne il 12 dicembre 1969, ossia il giorno della chiusura delle basi aeree inglesi in Cirenaica. Nel mirino finì la filiale della Banca dell’agricoltura, l’istituto usato per le transazioni commerciali tra l’Italia e la Libia. L'aereo precipitato nel mare al largo di Ustica il 27 giugno del 1980, partì dall’aeroporto di… Bologna. Anche in quell’occasione si insinuarono mani e manone di alleati veri o presunti. Nello scacchiere mediterraneo era in corso un Grande Gioco in cui si incrociavano: il doppiogiochismo degli americani, intenzionati a mettere le mani sull’uranio e il petrolio del Ciad a scapito di francesi e libici; le aspirazioni autonomiste di Malta (isola strategica per gli interessi atlantici e la sicurezza di Israele), potenziale postazione radar e base navale dei sogni per i sovietici, desiderosa di accedere all’area dei non allineati; la volontà di Tel Aviv di interrompere il sostegno alla lotta armata palestinese da parte dei paesi arabi e dell’Italia. Altro che Nar! Poi se volete bervi la storia della bomba piazzata dai marxisti col turbante o dai neofascisti coi Ray-Ban perché non potete soffrire (e avrete i vostri buoni motivi) gli arabi o i fasci, accomodatevi pure. Vincenzo Vinciguerra, esponente di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo condannato all’ergastolo per l'eccidio di Peteano, la verità l’ha accarezzata ma stravolta.
Egli vede nello Stato italiano, e nei suoi referenti stranieri, il grande burattinaio degli opposti estremismi al servizio dello statu quo. Fuochino fuocherello. Secondo me, Vinciguerra sbaglia nelle conclusioni, riassunte nella formula "destabilizzare il paese per stabilizzare il quadro politico".
Il tritolo e il piombo non hanno mai stabilizzato alcunché; al massimo servono da monito eloquente e/o per eliminare personaggi scomodi depositari di segreti scottanti. Alla fine, in mancanza di alternative credibili, la maggioranza silenziosa diede ancora fiducia alla Balena Bianca e ai suoi satelliti. Il quadro politico lo preservarono la collocazione nel campo Occidentale e l’impresentabilità delle ali estreme, l’antagonismo rosso e nero; nessuno auspicava l’avvento di uno Stato forte (mai veramente gradito agli italiani), perlopiù impossibile da realizzare in quel determinato contesto storico. Lungi dallo stabilizzare il sistema, i cadaveri dilaniati dall’esplosivo e le diverse “stragi di Stato” impunite hanno sparso sospetti, veleni e sfiducia nelle istituzioni; hanno fatto sorgere e prosperare il cosiddetto filone della “controinformazione”, utile a confondere le già confuse idee di tanti lettori e addetti ai lavori. Anche Pierpaolo Pasolini cadde in questo equivoco increscioso: il suo “romanzo delle stragi” era un polpettone stucchevole e mal congegnato di nomi e fatti risaputi. In realtà,
si destabilizzava il paese per... destabilizzare il paese. Perché? Perché gli strateghi di Roma, lavorando sott’acqua, destreggiandosi e talvolta incuneandosi fra i due blocchi, riuscivano gradualmente a incrementare il benessere diffuso e l’influenza nel Mare Nostrum. Insomma, stavano pestando troppi piedi. Un dettaglio ingombrante, spesso sfuggito alle opposizioni dure e pure, tanto al corrosivo qualunquismo dilagante nel MSI quanto al disfattismo del PCI. Ancora oggi molti si rifiutano di esaminare la strategia della tensione e gli anni di piombo tenendo conto della situazione internazionale di allora, come fa correttamente notare il giudice Rosario Priore. Al contrario, tutti corrono dietro alle ideologie novecentesche, infernali cortine fumogene. Fino a quando?

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