Commovente la copertura mediatica conferita all’incoronazione di Carlo d’Inghilterra da parte degli organi di informazione di un paese privo di personalità, che va cercando in lidi lontani il leader e l’identità collettiva che non sa o non vuole darsi. I conservatori si sono fatti abbacinare dalla magnificenza della pompa e dal longevo rito parareligioso che custodisce il segreto della continuità di istituzioni granitiche e condivise. Vi hanno scorto una metafora venatoria ultimamente alquanto in voga, l’animale in via di estinzione incalzato dai bracconieri del progresso livellatore. Sia come sia, io vi intravedo la sagra di una famiglia disfunzionale che da decenni si barcamena tra amanti e amorazzi ancillari, divorzi, cadetti “pentiti” che compilano biografie denigratorie, l’ombra infamante della pedofilia, cari estinti con un piede nel WWF e uno nella caccia alla tigre. E poi scambi epistolari dai dettagli orripilanti (“Vorrei essere il tuo tampax”) più che piccanti, rivelatori di una sessualità fangosa e malsana. Altezze a cui manca la profondità e la classe, simbolo vivente di un ex impero narcotrafficante (oppio) che segnò un’epoca e che adesso si arrabatta a fare il braccio destro del bullo globale male in arnese. Gelosi della propria eredità, certo, ma anche pervicaci maestri di sedizione sempre pronti a cavalcare l’onda ribellista e a destabilizzare attraverso il ricorso al cattivo esempio. E noi italiani? Poche chiacchiere, abbiamo toccato l’acme del disagio: una repubblica europeista e cattolica festeggia una nazione monarchica, extracomunitaria e riformata. Tutti insieme appassionatamente a reggere il manto foderato di ermellino di uno spilungone rubizzo. Un siffatto incensamento, forse, non lo si riscontra neanche nei reami del Commonwealth più periferici come il Belize, ex Honduras britannico. Questo spettacolo di un servilismo avvilente starà facendo rivoltare nella tomba l’anglofilo Giuseppe Mazzini, padre della patria caduto nel dimenticatoio. Cari connazionali, smettete questo grottesco fervore lealistico degno di miglior causa, toglietevi l'anello dal naso e siate cittadini maturi di una civile repubblica parlamentare. Se proprio ci tenete a farvi travolgere dall’esterofilia, allora siate Scozzesi e irlandesi e meno anglo-honduregni. Il Sudafrica e persino la Giamaica tirano bordate ai dominatori del passato, reclamano il risarcimento dei danni e la restituzione del maltolto; noi non siamo riusciti nemmeno a riprenderci il chiantishire intasato di anglobeceri e i figli dei fiori attempatelli, figuriamoci Malta. Esperti di anglistica sbracati vagheggiano l’ebbrezza del trono, si mettono a fantasticare di royal baby e teste coronate per ingannare il tempo; allegre comari di Windsor del gossip assaporano la trasgressione del monarchismo mondano mentre fanno la permanente al cervello dei telespettatori. Gli inviati dei telegiornali, un po’ trafelati e un po’ in adorazione, interpellano le animucce che intasano Piccadilly Circus esclamando degli indecenti “Oh com'è democratica Kate che si fa il selfie con i passanti!”. Immancabile, nella corazzata culinaria italiota, l’aneddotica stupefatta di chef e camerieri: “Quella volta che cucinai pasta e lenticchie alla Regina Madre” oppure “Camilla Parker Bowles mi implorò: “Please Ciccillo, I want canollo”. E dopo il pezzo di colore, si passa in rassegna la regia gioielleria per fare indigestione di carati: scettri tempestati di pietre preziose, tesori depredati nelle colonie e nei dominion sparsi nel globo terrestre. Ma tu guarda sto branco di minchioni che si gasano per una banda di scismatici ladri plutocrati e imperialisti d’oltremanica. Ammettiamolo, il popolino affezionato alle avventure dei reali inglesi tradisce la nostalgia dei Savoia, rimpiange fasti e nefasti sabaudi e disdegna il compassato rituale repubblicano riscoprendo il retrogusto favolistico della monarchia fatto di principi azzurri, scarpette di cristallo e carrozze fatate. L’anomalo monarchismo repubblicano serve altresì a trasfigurare i prosaici rapporti familiari: la nuora si rivede nella principessa triste angustiata dalla Regina, alias la suocera maligna. Niente di cui preoccuparsi, fisiologico escapismo da lettrice di Grand Hotel. C’è chi fa l’avvocato del diavolo prendendo le parti di Lilibeth: Ma lei era la nonna di tutti noi! Negativo, Elisabetta non era mia nonna e non mi hai mai dato biglietti da €50. E non era neppure una sincera amica dell’Italia, ammesso esistano amici sinceri in questo porco mondo. La perfida Albione rimane tale, punto. Non a caso, quei volponi di Craxi e Andreotti incatenarono l’idra thatcheriana alla roccia di Bruxelles, mentre troppi sempliciotti sospirano profondamente all’idea di mettere piede a Buckingham Palace o di essere insigniti del titolo di baronetto. È difficile esprimere l’orrore di vivere nello stesso suolo calpestato da milioni di Severgnini e Polito, due degli innumerevoli sacerdoti che officiano la religione laica del fumo di Londra. Caschi il mondo, nel sedicesimo reame del Commonwealth l’unica certezza incrollabile resta il servizio che il TG1 dedica ai quattro di Liverpool e alla Royal Family. Beatles e Windsor come una sostanza psicotropa; Windsor e Beatles come – direbbe Pavese – “un vizio assurdo” replicato all’infinito. Passi per i Beatles, che erano e rimangono tanta roba, ma i quellì lì? La nostra forma di governo è repubblicana e loro non sono i nostri reali, sono soltanto degli inglesi di sangue tedesco, ficcatevelo nel cervello! Come non è italiano stricto sensu l’anglopugliese con le cravatte color salmone di pessimo gusto, ossia Antonio Caprarica, il cicisbeo che rimesta nello sterco fumante delle beghe vanziniane e sottovanziniane che scuotono Westminster e dintorni e suscitano scalpore tra casalinghe e addetti ai lavori del gossip. Mi sento un po’ statunitense quando rivedo la scena de Gli Spietati in cui lo sceriffo Gene Hackman pesta a sangue, invitandolo a cambiare aria, il baronetto-cacciatore di taglie Richard Harris, forsennato decantatore delle virtù monarchiche. I britanni, per Roma come per il sottoscritto, erano e restano dei tamarri tatuati e scarmiglioni inclini all’evasione fiscale fin dai tempi di Budicca. La confessione anglicana ha aperto le porte alle donne sacerdote, all’eutanasia e alle tematiche LGBTQ: questo è il preteso depositario dei valori tradizionali, il faro che illumina il cammino dei conservatori di ogni latitudine.