Farò storcere il naso ai lettori filorussi, ma confesso che stento a soffrire la periodica sbruffoneria di Dmitrij Medvedev. La giovane promessa della politica pietroburghese, uscita dai lombi del liberale Anatolij Sobčak, tira fuori l’orso (in russo medved significa “orso”) che è in lui ritagliandosi una fama di arcirusso guascone che non le manda a dire. Lontanissimo parente del beniamino dell’Occidente collettivo, figura tutt’altro che comune all’interno di quella Duma tribunalesca, rassomiglia ora a un facinoroso intento a pulirsi le unghie con il coltello a serramanico, tra gli sguardi spauriti degli astanti. Con cadenza quasi giornaliera apostrofa, dirama ukase e ultimatum digrignanti, traccia e cancella linee rosse, paventa sfracelli nucleari evocando con leggerezza quel cupio dissolvi connaturato allo scontro esistenziale. Ovviamente reputo dannosa e controproducente tale retorica, dovuta forse a un contorto gioco delle parti predisposto dai vertici moscoviti. Caro Medvedev, la cruenta sarabanda ucraina è durata abbastanza, date una spallata definitiva al golem e buonanotte al secchio! Disponete di armi in grado fare la bua, giusto? Ecco, allora tirate fuori dal garage l'artiglieria pesante convenzionale, prima di rimediare una figura grama. E piantatela di scomodare i bottoni rossi, che in quel caso non vi sarebbe un “dopo”: BOOOM! Addio pianeta. Il buon Dmitrij non si è accorto di avere una complessione da minion a cui l’allure da genio del male messo all’angolo, se non al tappeto, non dona per nulla. Suvvia, smetta il costume da Emilio Largo e stracci il canovaccio manicheo, perché la trovata rovina la sua reputazione personale e l’immagine del suo paese (la Russia dipinta come un bullizzato impotente), oltre a concedere un indubbio vantaggio psicologico ad avversari in affanno, impareggiabile nel vestire i panni del poliziotto onesto e riflessivo. Affonderemo il Regno Unito e nuclearizzeremo la Polonia; droni sottomarini da 50 megatoni di qua e vettori ipersonici di là; vade retro mangiarane e guai a voi mangiaspaghetti. L'originalità non è il vostro forte, amici russi, ma se un pezzo da novanta della nomenklatura si affida ai cliché enogastronomici, allora significa che state raschiando il fondo del barile. Si rassereni, Medvedev: il pubblico europoide non è stato inebetito del tutto, nessun individuo sennato – il che esclude i quattro gatti che si formalizzano per un nonnulla – considera la Russia il “cattivo” del dramma. Perciò veda di non farsi prendere la mano e si liberi del personaggio di antagonista di 007 che le hanno cucito addosso. Inquadrare l’evoluzione di questo ragazzo di buona famiglia, che non disdegnava il motto The West is the Best, è un compito arduo. Dovremmo capire cosa celano le smoderatezze della sua oratoria. Il tentativo di ergersi a falco per distinguersi dalla colomba Lavrov, il più grande diplomatico vivente dopo Kissinger, coadiuvata dall’angelica Zakharova? O forse le spara grosse, per conto della quinta colonna esterofila, in modo da guastare la festa a Putin e guadagnargli la fama di leader pavido e irresoluto in vista di una eventuale successione? Oppure si tratta di una pensata goliardica atta a sciogliere la proverbiale grevità che affligge il Cremlino? A quanto sembra, prospettare l’apocalisse atomica rientra nei precetti dello stravagante galateo invalso tra le superpotenze. Sarà, ma a me non convince per niente. Gli statunitensi, occultatori provetti di porcate e cattive intenzioni, si rivelano molto più saggi e accorti quando spediscono segnali obliqui e avvertimenti. La Russia invece si incaponisce e, anche quando non è strettamente necessario, continua a puntare su mascherine e mascheroni dall’aria poco raccomandabile che indulgono nelle frasi ad effetto. Cari russi, al netto delle criticità che non mancano mai (la demografia piange un po’ ovunque), avete riacceso gli altiforni, riaperto laboratori di ricerca e officine navali; state scalando le posizioni perdute ed erigendo un po’ alla volta, mattone su mattone, l’età multilaterale di cui, verosimilmente, sarete le sentinelle. È come se la cantera di una grande società di calcio, caduta momentaneamente in disgrazia, ricominciasse a sfornare grandi campioni per tornare a fare l'unica cosa che conta: vincere. Valutato questo, che bisogno c’è di infierire verbalmente su compagini nazionali subalterne, costrette ad assumere la postura di una cobelligeranza suicida?