Non fatevi incantare dalla liturgia autoreferenziale dei futurologi Attali e Harari: si, d'accordo, qualcuno di loro (l'ineffabile Schwab) veste come Donald Pleasence ne L'uomo puma e rimangono pur sempre i padroni del discorso, ma parlano davanti a una platea semivuota, o se preferite semipiena di allocchi, con l’immancabile claque di malfattori a dar manforte. Gli apprendisti stregoni di Davos dichiarano con sicumera di aver preso decisioni inderogabili per i prossimi secoli al posto di miliardi di individui, di studiare piani futuribili che li pongono avanti anni luce. Le “autocrazie” orientali dovranno accontentarsi di inseguirci o fronteggiarci con strumenti anacronistici e/o inadeguati, assicurano. La via che porta al domani è dunque tracciata? Manco per sogno. Semplicemente stiamo udendo gli ultimi rantoli preagonici di un bestione ferito a morte, i vaniloqui sconnessi di una combriccola giunta al capolinea che fantastica di avere un futuro brillante davanti a sé, ma che nella pratica non può che agire come i malviventi in trappola: sparare all’impazzata facendosi scudo di civili. Le rappresaglie globali si susseguono rapide, accendendo focolai in Georgia e Sudan e in decine di teatri (il conflitto che insanguina il corno d’Africa e contrappone l’Etiopia alla provincia ribelle del Tigray) debitamente silenziati dai professionisti dell’informazione. La ghenga anglo-globalista tre anni fa iniziò le ostilità contro l'essere umano, una guerra ibrida basata sul ricorso a un terrorismo variegato – diplomatico, militare e sanitario – assecondato dai sottopancia locali, pressoché scatenati e disposti a compiere qualsiasi infamia sulle popolazioni del Vecchio Continente macerate dal lungo sonno post-storico. L’obiettivo del pugile semisuonato è quello di lavorare ai fianchi Cina e Russia, attaccando chi – la maggioranza preponderante dei paesi – non riconosce nell’Occidente combinato un socio affidabile. Un terrorismo che, quantunque coperto dai media compiacenti incaricati di confondere le acque e le idee, tradisce la difficoltà di maneggiare il soft power e di generare consenso e aspettative positive presso alleati e subalterni. La balcanizzazione su base etnica e sessuale che si serve delle masse sradicate africane e dei gay illusi a mo’ di piede di porco rientra appieno in questa strategia disperata. Ma non è finita qui, c’è l’incognita batteriologica. La decisione di piazzare l’ennesimo biolaboratorio nei pressi di Pesaro, a un tiro di schioppo dalla riviera romagnola meta di milioni di turisti, appare l’ultimo di una lunga serie di mosse scellerate che gridano vendetta. Il siculo gibboso e il rettile banchiere, presidente-ombra, si comportano come due despoti folli del terzo mondo nell’indifferenza di sigle sindacali e partitucoli di opposizione indecisi e litigiosi, nemmeno buoni a indire uno sciopero generale purchessia. Ma rallegriamoci, fratelli, poiché le scelte estreme e inconsulte dimostrano inequivocabilmente la brutta china intrapresa dalla cricca. La violenza senza consenso è terrorismo, e il terrorismo ai danni dei propri stessi popoli in genere è l’ultima empietà di ogni sconfitto che non ha più nulla da perdere. Il blocco all’importazione di grano ucraino sancito dal gruppo di Visegrad è l’ennesimo dissapore sorto nel settore est dell'Alleanza Atlantica, un dissapore che minaccia di allargarsi a Romania e Bulgaria e presto potrebbe degenerare in una sparatoria tra banditelli che mirano a spartirsi il bottino. Ecco perché il lessico dei vari Bill Gates è letteralmente sovraccarico di avvenirismo e drogato di malie futuribili: esso deve esorcizzare l’amara verità di un ordine in frantumi. È l’artificio retorico con cui studiano di far sembrare solidale il fronte interno, immanenti e inevitabili i loro programmi “innovativi” e imprescindibile la loro guida illuminata: we are the world, il resto è superfluo. I padroni “universali”, attributo che diviene via via più relativo, sentono l’incalzante necessità di almanaccare emergenze, sfide e miti di progresso: la bolla del multiverso, le auto elettriche, il transumanesimo forsennato, la resilienza, l’Agenda 2030 ecc. sono fughe in avanti di una oligarchia allo sfascio che non riesce più come una volta a plasmare e condizionare il reale. L'Impero della sola e i parolai malintenzionati ben presto dovranno riporre nel cassetto i sogni di gloria e vedersela con una folla di liberti, ex schiavi desiderosi di rivalsa. Le decisioni importanti delle nazioni favorite dalla demografia e dalla natura si prendono a Mosca e in una Pechino mai così universale, avviata a rinverdire – e a superare – i fasti del Celeste Impero, a suo agio nella parte del pompiere che doma incendi spaventosi. Non abbiate timore, evitate il nostalgismo nevrotico, non siate delle Blanche DuBois come la tecnocrate demente Ursula von der Leyen, la quale immagina di essere una ambita cotoniera del sud che civetta romanticamente con gli spasimanti e, in tenuta da amazzone, visita la sua piantagione lavorata da schiavi negri. Il sud del pianeta, purtroppo o per fortuna, non è più Dixieland. Tranquillizzatevi: non tramonta l’Occidente, tramonta semmai il suo secolare tutore anglosassone, che dal punto di vista di un cattolico europeo continentale non dev’essere il migliore dei mondi possibili, e negli ultimi tempi era diventato una galera a cielo aperto. Chissà se Macròn avrà assimilato la lezione di questi giorni, ovvero che il servilismo non paga. Nel Nuovo Mondo (migliore o peggiore? Ai posteri l’ardua sentenza) non c’è posto per i masochisti e il protocollo diplomatico cinese – una cineseria al bacio – lascia giustamente languire in anticamera i servi sciocchi e vanagloriosi. L’estate sfolgorante della fine della Storia / si è fatta l'inverno del loro scontento.

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