I contributi pubblici all'editoria vanno aboliti. Che senso ha mantenere dozzine di quotidiani fotocopia, stipendiare decine di orchestre che suonano la stessa identica musica? Oggi l’informazione è una finestra murata sul mondo e si limita a indottrinare e a veicolare una propaganda belluina. Ma li leggete i bollettini della cosiddetta “Operazione Militare Speciale”? Sembrano compilati dai nipotini del barone di Münchhausen. L’odierno giornalismo non sa – o non vuole – spiegare una realtà in costante trasformazione, non riconosce altro ordine di idee all’infuori dell’impostura mammista dei diritti umani a targhe alterne. È assurdo che lo Stato continui a sborsare decine di milioni di euro per rimborsare le copie invendute in attesa di andare al macero. Il "reddito di giornalanza" è inefficace e anacronistico. Inefficace perché non migliora le prestazioni degli assistiti; anacronistico perché la rete consente ormai di trasmettere in tempo reale informazioni e idee. Se da un lato esistono blog capaci di creare dei veri e propri movimenti di opinione, dall’altro gli organi di informazione ufficiale, salvo rarissime eccezioni, non scuotono più la coscienza civile e non riescono a far breccia nell’opinione pubblica. Il Quarto Potere è diventato un affare per pochi intimi, una casta platealmente autoreferenziale abbarbicata a un Ordine creato da quel fascismo che a parole dicono di schifare. I giornaloni come Stampa, Repubblica e Corriere sono dei paludati clowns col megafono che si divertono a bombardarci di decibel, a spargere odio e allarmismo. Illeggibili e inascoltabili da anni, registrano una crescente e inarrestabile emorragia di lettori e godono di un meritato discredito. Segnalo Il Foglio, che ha dato vita all’ircocervo del liberista di Stato, e Il Manifesto, testata “comunista” (stravedevano per il reazionario Walesa, che la Rossanda ebbe l’impudenza di definire “il nuovo Lenin”) che di tanto in tanto pietisce quattrini da quello Stato a cui dovrebbe marxisticamente augurare l’estinzione. I lettori più accorti, una volta squarciato il velo di Maya, iniziano a percepire l’essenza autentica degli imbrattacarte che parassitano grazie al denaro statale, immancabilmente schierati contro gli interessi delle fasce produttive o meno abbienti della popolazione, verso cui riversano un velenoso moralismo vittoriano che stigmatizza gli sconfitti della globalizzazione, trattati alla stregua di selvaggi pigri e ignoranti, a loro dire indegni di scegliere i propri rappresentanti e di ricevere alcun sussidio. Il giornalista, in virtù della sua esistenza da globe trotter, si sente in diritto di deprecare i connazionali emanando una insopportabile boria. A morte il mostro di cartastraccia, goffa creatura antidiluviana da affidare alle mani pietose dei paleontologi. Chi si batte per il sostegno pubblico all’editoria di fatto sostiene persone e idee inutili, se non perniciose. Chi vuole il sostegno pubblico all’editoria fornisce un megafono e una tribuna ai fastidiosi anti-italiani di professione come Severgnini e Saviano. Chi vuole il sostegno pubblico all’editoria acconsente di affogare nel narcisismo limaccioso dei guitti della penna. La forbice dei tagli diraderebbe, latu sensu, la zazzera selenica dell’Italians anglofilo Severgnini e la barbona sale e pepe del liberal in maniche di camicia Gianni Riotta, orgoglioso intervistatore-badante di Kissinger. Una volta placata la chiassosa indecenza dei tanti galletti e chihuahua che occupano indebitamente il salotto di casa, potremo goderci l’aureo silenzio. "Bisogna affamare la Bestia", dicevano i liberisti negli anni ottanta. Quella vera.