Sessant'anni fa veniva ammazzato Enrico Mattei, presidente dell'Eni. Oggi, questo gigante italiano viene ipocritamente celebrato da una manica di nani deformi nel corpo e nello spirito, desiderosi di assecondare le brame guerrafondaie d’oltreoceano. Ho letto le parole del capo dello Stato, un cascame della peggiore Dc: un fuoco di fila di banalità oltraggiose. E ho letto pure lo scontato salamelecco di Giorgia Meloni, una poveretta “inebriata d’aria” (per citare Emily Dickinson) finita in un gioco più grande di lei. Mattei era nell’ordine un fascista disilluso, un partigiano bianco, un anticomunista razionale. L’atteggiamento del Pci nei suoi confronti oscillava tra la tolleranza e il supporto interessato. Tolleranza perché rimaneva pur sempre il maggior esponente dei fottuti boiardi democristiani. Supporto interessato perché gli affari moscoviti dell’Ingegnere comportavano corpose bustarelle in dollari sonanti. Mattei portava avanti la sua brava ostpolitik in un paese assetato di idrocarburi, e aveva trovato nell’URSS un partner ideale, come l’Algeria e l’Iran. Solo le destre miopi vi intravvedevano chissà quali triangolazioni ideologiche: di lì a qualche anno, i gran visir comunisti Segre e Napolitano avrebbero cominciato a frequentare i quartieri alti di Washington. In realtà, l'epopea di Mattei condensa l'eredità positiva e fertile del ventennio: il terzomondismo con la spada dell'Islam, ma più moderno e pragmatico, che offriva contratti vantaggiosi ai dannati della terra, in un'epoca in cui l’Occidentale con la puzza sotto il naso stentava ancora a scrollarsi di dosso il fardello dell’uomo bianco; l'autarchia lungimirante ( https://www.scienzainrete.it/conten...a-dallalcol-successo-autarchico/febbraio-2014 ) ; l'economia mista. Aveva subodorato, in tempi non sospetti, la natura eversiva della NATO, la metastasi che corrode dall’interno gli organismi nazionali europei.
Inviso a certi democristiani gelosi, la destra confindustriale e quella fascio-qualunquista lo detestavano e vedevano in lui lo sviluppo economico e sociale, la corruzione che inquinava la politica e i costumi, la quinta colonna di Mosca in Italia e longa manus del “bolscevismo” nel sud del mondo decolonizzato. Fu in realtà il nostro più lucido e importante
stratega del capitale, figura impostasi nel capitalismo di matrice statunitense nella prima metà del Novecento: metà politico spregiudicato e metà manager d’ingegno. W Enrico Mattei, condottiero di un'Italia sconfitta, umiliata e offesa, ma a testa alta.

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Io, essendo piuttosto anziano, del caso Mattei ricordo la vergognosa guerra mediatica fatta da quel cialtrone di Montanelli. Mi sono sempre stupito che un grandissimo intellettuale come Franco Marino (lui rifiuta tale definizione, ma per me che lo leggo da vent'anni tale è) lo abbia sempre visto come un punto di riferimento.
 
A quella campagna Montanelli partecipò da semplice - e forse svogliato - ufficiale. La guerra all'ENI la dichiararono alti papaveri, italiani e non. Di Mattei mi lascia perplesso l'eccessiva fiducia riposta nell'autonomia economica, quando è risaputo che senza indipendenza politica e militare l'autonomia economica dura lo spazio di un mattino.
 

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