Secondo Daniele Luttazzi, la satira sarebbe intrinsecamente progressiva. Secondo me, non è sempre così. Aristofane irrideva Socrate e, se fosse vissuto oggi, avrebbe votato volentieri (con mio sommo dispiacere) il Tea Party.
Molière ridicolizzava magnificamente il borghese gentiluomo e la mobilità sociale, i vecchietti sessualmente arzilli, le donne sapienti con velleità di egemonia culturale. Petronio demoliva l’homo novus, l’odierno parvenu, col personaggio di Trimalcione. E allungo la lista menzionando Trilussa, Belli, Guareschi, Totò (che Luttazzi snobba): tutti intenti a combattere gagliarde battaglie di retroguardia, spesso a colpi di mesto e disperato qualunquismo.
Altro che progresso! No, la satira non è sempre rivoluzionaria. Parafrasando Mao, la rivoluzione non è un Meetup; non è un pamphlet di Camilleri, uno sketch di Luttazzi, un comiziaccio di Benigni; non la si può fare con l’onestà e la trasparenza di Travaglio, o col garbo, la gentilezza e cortesia di Jacopo Fo. La rivoluzione è un atto di violenza.
Certo, c’è chi, come la compagnia del Bagaglino, trova divertente far parlare il dialetto ciociaro ai Grandi della Terra. Ricette per una satira semplice, innocua e simpaticamente ripetitiva. E poi c’è l’incendiario Luttazzi, che afferma perentorio: la satira non è tale se non da fastidio al Potere. Cosa intende per “dare fastidio”? Sbertucciare il malcostume politico o determinare le dimissioni del capo del Governo? Trascinare in tribunale i leader politici sgraditi? Luttazzi dava sul serio filo da torcere al Potere? Io penso di no. La sua satira coprofaga era selettiva, dal momento che prendeva di mira principalmente la tigre di carta Berlusconi, il “dittatore” reo di averlo cacciato dal piccolo schermo. Una incresciosa litania autocommiserativa protrattasi per anni. Il monologo ringhioso e diffamatorio, basato sui libelli giornalistici e i teoremi giudiziari à la page, rappresenta una pessima pubblicità per la buona satira. Berlusconi alla fine è stato devirilizzato e liquidato in fretta e furia da Potenti ben più forti di lui, e Luttazzi da quel giorno è scomparso dai radar. Nel frattempo le condizioni morali e materiali del paese si aggravavano irrimediabilmente, gli spazi di libertà si comprimevano: lui dove diavolo si era cacciato? È tornato a teatro, a recitare la parte del giullare moderno per una sparuta cerchia di eletti. È sparito, ma non ha rinunciato al piacere di sputare fiele sui sovranismi e i populismi: «Carlo Freccero mi ha censurato (aridaje). È sovranista, cioè fascista 2.0.»
Molière ridicolizzava magnificamente il borghese gentiluomo e la mobilità sociale, i vecchietti sessualmente arzilli, le donne sapienti con velleità di egemonia culturale. Petronio demoliva l’homo novus, l’odierno parvenu, col personaggio di Trimalcione. E allungo la lista menzionando Trilussa, Belli, Guareschi, Totò (che Luttazzi snobba): tutti intenti a combattere gagliarde battaglie di retroguardia, spesso a colpi di mesto e disperato qualunquismo.
Altro che progresso! No, la satira non è sempre rivoluzionaria. Parafrasando Mao, la rivoluzione non è un Meetup; non è un pamphlet di Camilleri, uno sketch di Luttazzi, un comiziaccio di Benigni; non la si può fare con l’onestà e la trasparenza di Travaglio, o col garbo, la gentilezza e cortesia di Jacopo Fo. La rivoluzione è un atto di violenza.
Certo, c’è chi, come la compagnia del Bagaglino, trova divertente far parlare il dialetto ciociaro ai Grandi della Terra. Ricette per una satira semplice, innocua e simpaticamente ripetitiva. E poi c’è l’incendiario Luttazzi, che afferma perentorio: la satira non è tale se non da fastidio al Potere. Cosa intende per “dare fastidio”? Sbertucciare il malcostume politico o determinare le dimissioni del capo del Governo? Trascinare in tribunale i leader politici sgraditi? Luttazzi dava sul serio filo da torcere al Potere? Io penso di no. La sua satira coprofaga era selettiva, dal momento che prendeva di mira principalmente la tigre di carta Berlusconi, il “dittatore” reo di averlo cacciato dal piccolo schermo. Una incresciosa litania autocommiserativa protrattasi per anni. Il monologo ringhioso e diffamatorio, basato sui libelli giornalistici e i teoremi giudiziari à la page, rappresenta una pessima pubblicità per la buona satira. Berlusconi alla fine è stato devirilizzato e liquidato in fretta e furia da Potenti ben più forti di lui, e Luttazzi da quel giorno è scomparso dai radar. Nel frattempo le condizioni morali e materiali del paese si aggravavano irrimediabilmente, gli spazi di libertà si comprimevano: lui dove diavolo si era cacciato? È tornato a teatro, a recitare la parte del giullare moderno per una sparuta cerchia di eletti. È sparito, ma non ha rinunciato al piacere di sputare fiele sui sovranismi e i populismi: «Carlo Freccero mi ha censurato (aridaje). È sovranista, cioè fascista 2.0.»