Da quando il Pd ha scoperto la Francia, sono aumentati i nostri guai. A onor del vero, sono aumentate anche le personalità insignite della Legion d’Onore. La maggior parte appartengono al partito “Poltrone e Divani”, i diversamente italiani che esibiscono con orgoglio la loro brava coccarda e venerano Macròn, il nuovo divo (dopo Tony Blair) del progressismo di casa nostra. D'altronde basta mettere il blu al posto del verde ed il gioco è fatto: tricolore era e tricolore rimane. L’inciucio internazionale è stato suggellato tramite lo strombazzatissimo Trattato del Quirinale, stipulato nel novembre dello scorso anno. Tale Trattato getta un’ombra inquietante sull’Italia; l’ombra di un redivivo Carlo VIII. Di questo accordo, Giulio Sapelli offre una chiave di lettura intrigante ma parziale: gli USA avrebbero subappaltato il Mediterraneo a Francia e Italia per meglio dedicarsi al braccio di ferro con la Cina nel Pacifico. È probabile che, oltre al mar Mediterraneo, sia stato subappaltato anche lo Stivale. Sono anni ormai che i capitani d’industria transalpini fanno incetta di marchi italiani. La scorpacciata viene malamente nascosta dietro un paravento di considerazioni di carattere sentimentale e libresco come la “sorellanza latina”, Napoleone e Luigi Bonaparte, Mastroianni e la Deneuve e altre amenità da bignamino o da rotocalco. Che c’è di strano? Il Pd ama rivestire di alte ragioni ideali gli interessi di parte, per nulla puliti, dei propri caporioni. Il trattato prevede, tra le altre cose, lo scambismo ministeriale: un esponente del governo di uno dei due paesi prende parte, almeno una volta per trimestre e in alternanza, al Consiglio dei Ministri dell’altro Paese. Si va verso un’annessione al rallentatore? Non mi sembra un’ipotesi peregrina. C’è poi la questione linguistica. Il Trattato contempla la formazione di parlanti bilingue (italiano e francese) nelle regioni frontaliere. Che i cugini d’oltralpe vogliano papparsi la Valle d’Aosta e uno spicchio di Piemonte? Il timore non mi pare del tutto ingiustificato. Ho come l’impressione che la Francia, cacciata a pedate dal Nordafrica e dal Sahel, si stia rifacendo su di noi. Le prove non mancano e non vanno liquidate con la consueta leggerezza esterofila: vampirizzano il nostro tessuto industriale e minacciano paternalisticamente di “vigilare” sulle scelte di Roma. Vigilare… in parole povere ci considerano le teste calde d’Europa, gli scavezzacolli bisognosi di vincoli esterni di cui parlava Eugenio Scalfari. La sudditanza mascherata da cooperazione apre scenari nient’affatto rosei: i francesi potrebbero utilizzare la penisola italica come retrovia in una eventuale guerra greco-turca, che li vedrebbe in prima linea al fianco di Atene. Ricordate la proditoria pugnalata del 2011, quando Sarkozy bombardò la Libia? La pugnalata ha lasciato una ferita che brucia ancora; una ferita in procinto di andare in suppurazione. L’orrido cabaret istituzionale romano sottovaluta i pericoli che incombono sullo Stellone d’Italia. Il nuovo esecutivo dei sedicenti “sovranisti” pare intenzionato a proseguire la liaison dangerous con Parigi. Mala tempora currunt.