Silvio Berlusconi avrà tanti difetti, ma non quello di appartenere alla categoria dei pezzenti che si lasciano comprare per un piatto di lenticchie, un tiro di coca e una sveltina con la showgirl del momento. La parabola da pezzentello tracciata da Luigi Di Maio è ancora lì, fresca fresca, sul piano cartesiano delle indelebili vergogne politiche italiane. Purtroppo per noi, Giorgia Meloni rientra di diritto nella seconda categoria e, vedrete, userà la politica come una vetrina scintillante o un trampolino di lancio verso il dorato mondo delle consulenze remunerate a peso d’oro. Come Draghi, entrerà nella limousine scavalcando il cadavere dell’Italia. Una Maia Sandu con la cadenza romanesca, avida di gloria effimera, eterodiretta da qualche puparo di ascendenza ashkenazita. Conosco e comprendo le eventuali obiezioni: siamo una colonia a stelle e strisce; non è facile opporsi allo zio Sam; mancano i margini di manovra; facile parlare seduti in poltrona. Le obiezioni mi trovano pienamente d’accordo, eppure un minimo di coraggio in più non guasterebbe. C’è bisogno di un forte segnale di discontinuità. In questo momento un solco divide la classe politica dal paese reale; un solco che si allarga di minuto in minuto, lentamente. La situazione è drammatica e temo che per i bizantinismi d’antan manchino il tempo e la pazienza. E non venitemi a parlare di strategggia con tre G. La scorsa legislatura, i capiscioni leghisti Bibì e Bibò, i no €uro Borghi e Bagnai, giustificavano i mille intrallazzi e rassicuravano la base elettorale in fermento ripetendo la parolina magica “strategia”. Sappiamo tutti come è andata a finire.