L’economista e pubblicista tedesco Friedrich List (1789-1846) nacque a Reutlingen, nell’allora regno di Württemberg, uno dei 38 stati che componevano la Confederazione Germanica. Il programma di List era nuovo e molto originale, perché cercava di far collimare il progresso della Rivoluzione industriale con i diritti e le libertà della rivoluzione francese. La sua natura di illuminista e di nazionalista tedesco di tipo non romantico lo portarono a compiere viaggi nel vecchio continente e nel nuovo mondo, dove acquisì la cittadinanza statunitense. Non è stato il primo tedesco ad esaminare i temi economici con la lente del patriottismo, ma fu l'unico nazionalista che accettò la Rivoluzione Industriale e le sue conseguenze politiche, sociali e culturali. A differenza di Fichte, List non si oppose in maniera preconcetta al libero scambio. Tuttavia, al fine di reggere la concorrenza e competere su di un piano di parità con i paesi predominanti, ogni soggetto nazionale doveva modernizzare ed accrescere le proprie forze produttive. Da liberale acceso e riformista, decise di avvalersi di una disposizione latente nella costituzione della Dieta tedesca: uno dei suoi articoli lasciava la porta aperta all'istituzione di un sistema commerciale nazionale. L'Unione dei commercianti e dei produttori tedeschi invocò questa disposizione per giustificare il proprio programma, e nell'aprile 1819 sottopose alla Dieta una petizione scritta da List. In esso, l'Unione richiese "la rimozione di tutti dazi doganali e pedaggi all'interno della Germania, e l’istituzione di un sistema tedesco universale fondato sul principio della protezione contro la concorrenza esercitata dagli stati esteri. Diversamente da come la concepì List, l’unione doganale fu realizzata a partire dal 1818 dai prussiani e non dai tedeschi occidentali, e contribuì non poco a forgiare l’identità nazionale germanica. Accusato di demagogia, fu costretto a lasciare il regno del Württemberg e a riparare prima a Strasburgo e infine a New York. Qui potè contare sull’amicizia e l’ospitalità del marchese di Lafayette e conoscere a fondo alcune delle province statunitensi più sviluppate come il New England, la Pennsylvania e la Virginia. Stabilì contatti particolarmente stretti con la Pennsylvania Society per la Promozione delle Manifatture e delle Arti Meccaniche, che, come rivela il nome, era un'organizzazione protezionista. Al tema della protezione dedicò una serie di articoli, opuscoli e diversi interventi. L’opera di Alexander Hamilton, teorico del “sistema americano”, lo influenzò profondamente. Hamilton fu il primo Segretario al tesoro USA sotto la presidenza di George Washington e, prima di cadere in disgrazia, unificò il debito pubblico dell'Unione e dei singoli stati, regolamentò i dazi e creò il sistema creditizio della Banca Centrale, favorendo non poco l'espansione industriale americana. Nel 1832, in qualità di console americano, List rientrò a Lipsia per occuparsi di progetti ferroviari. Mentre era negli USA, capì che senza le strade ferrate la tanto sospirata unione doganale sarebbe rimasta una chimera. Oltreché essere indispensabili per il commercio e l’industria, i treni contribuivano a sradicare atavici vizi antinazionali come il campanilismo e la ristrettezza di vedute, tipiche di certe realtà rurali. Non a caso l’unità nazionale tedesca coincise con il processo di industrializzazione. Nel biennio 1839-1840, a Parigi, List trovò il tempo per scrivere la sua opera capitale, il “Sistema Nazionale di Economia politica”. La società umana per List è composta da stati-nazione. Tra l’individuo e la collettività umana si pone la Nazione. Le teorie economiche allora dominanti, il liberalismo e il socialismo, trascuravano la nazione e si concentravano rispettivamente sull’individuo e sull’indistinta collettività umana. Mentre Marx sentiva la necessità che i lavoratori superassero i confini e le specificità nazionali attraverso l’internazionalismo, al fine di scagliarsi contro la borghesia mondiale, il suo compatriota List auspicava l'unificazione di tutti i componenti della comunità, in modo da stabilire una proficua cooperazione di classe. Solo così poteva affermarsi una nazione coesa, florida e potente in grado di competere con le altre realtà nazionali. Secondo lui, la vera base di una comunità politica era la comunità nazionale definita da un complesso di fattori culturali, storici e linguistici da circoscrivere entro determinati confini. Naturamente le nazioni più deboli e arretrate erano sottomesse alle più forti e avanzate, e pertanto rischiavano di scomparire. Questa era la verità effettiva malamente celata dall’ideologia liberoscambista di matrice anglosassone. Lo scrittore argentino Eduardo Galeano fa notare che “Friedrich List, il padre dell'Unione doganale tedesca, si era reso conto che il libero commercio costituiva, per la Gran Bretagna, il principale prodotto d'esportazione. Non c'era nulla che facesse infuriare gli inglesi più del protezionismo doganale; e lo dicevano, dimostrandolo a volte, a sangue e a fuoco, come nel caso della Guerra dell'oppio contro la Cina. Tuttavia la libera concorrenza sui mercati diventò, per l'Inghilterra, una specie di religione rivelata soltanto dal momento in cui ebbe la sicurezza d'essere la più forte e dopo aver sviluppato la propria industria tessile con l'aiuto della legislazione protezionista più severa di Europa. Agli inizi, quando ancora la situazione non era facile e l'industria britannica si trovava in svantaggio, il cittadino inglese sorpreso a esportare lana grezza, non lavorata, veniva condannato al taglio della mano destra e, se recidivo, all'impiccagione. Era proibito sotterrare un cadavere prima che il parroco della zona certificasse che il sudario che lo avvolgeva proveniva da una fabbrica nazionale.


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