Anzitutto ringrazio Franco Marino per avermi dato la possibilità di collaborare a questo progetto e vado ad una veloce e necessaria presentazione di chi sono.
Mi chiamo Marina Ricciardi e sono un'italiana, nata a Genova oltre quarant'anni fa, che vive, sin da ragazza, a Buenos Aires.
Questa potrebbe sembrare un'inutile presentazione ma non lo è perché, in primo luogo, essendo ormai da oltre vent'anni ben radicata in questo meraviglioso e complesso paese, posso dire di averne un punto di osservazione privilegiato rispetto a chi ne ha soltanto sentito parlare. Poi perché proprio il fatto di essere italiana, di non aver dimenticato le mie origini e nel contempo di vivere e lavorare lì, mi permette di poter guardare le cose facendo collegamenti tra la mia realtà nativa e quella adottiva.
E infine (ed è la ragione per cui ho sempre apprezzato il fondatore di questo progetto che ha idee molto radicate nel liberalismo ma non le esprime mai in maniera scontata e banale) pur essendo di orientamento e formazione liberali, non mi sono mai voluta appiattire pavlovianamente nei dettami dell'atlantismo, attorno al quale, erroneamente, commettiamo l'errore di associare in automatico ogni idea liberale. Sono una liberale ma non necessariamente un'atlantista.
Alla domanda "Chi è Javier Milei?", si risponde con una rapida biografia del personaggio. La migliore è quella che potete trovare qui su Amazon: https://amzn.to/3OwWmfU che vi consiglio caldamente perché scritta da Leonardo Facco, uno che del fenomeno Milei sa tutto.
Nell'attesa, se vi accontentate di un rapido sunto, dico questo: Milei, al netto dei suoi successi, è un fior di cervellone. E' diventato famoso grazie ad uno stile che a molti sembra berlusconiano e che invece ricorda, con maggiore credibilità per fortuna, quello di Oscar Giannino. Infatti, di Berlusconi ha lo stile informale, autoreferenziale e la competenza indiscussa che il Cavaliere, perlomeno come imprenditore e conoscitore della complessa macchina relazionale di privato e pubblico, possedeva. Mentre del fondatore di Fermare il Declino ha una certa eccentricità e l'indiscussa competenza teorica (che in Milei, a differenza del suo omologo italiano, è suffragata da un cursus universitario tutt'altro che di poco conto). Inoltre, l'attuale presidente argentino giunge in un momento molto particolare della storia dell'umanità, che ha visto emergere tutto il peggio dello statalismo in tutto il mondo con la buriana covid, che in Argentina ha paralizzato un paese che avrebbe tutte le possibilità per essere un gigante economico ed è invece un paese oberato da problemi storici e strutturali molto simili a quelli italiani. Dove il socialista propone spesa pubblica, freni all'iniziativa privata, dirigismo, Milei arriva con la sua motosega e si propone di tagliare i rami dello stato, nell'idea che il governo non è la risoluzione dei problemi ma esso stesso il problema.
Fin qui nulla di nuovo per chi conosce le idee liberiste. Ma quello che è il punto di forza, rischia di essere anche il limite dell'azione dell'attuale presidente argentino.
Infatti, alcuni nodi dell'azione politica ricordano purtroppo un deja vu tipico di molti liberali. In primo luogo, a non convincere sono le sue proposte di ri-legare la moneta argentina al dollaro americano, circostanza che ha provocato il famoso crack argentino che molti ricordano e soprattutto un certo appiattimento agli interessi americani, in politica estera.
Questo, di per sé, non è motivo pregiudiziale, intanto perché Milei è un solido trumpiano, ed è sempre meglio di essere clintoniani oppure obamiani, e poi perché la storia è piena di leader politici che sembravano funzionali agli interessi americani (Erdogan, Putin, Craxi) e poi finiti per ribellarvisi, spesso pagando salatissimi prezzi. Tuttavia l'atlantismo di Milei è un particolare che non va trascurato, soprattutto in una fase storica di ridisegnamento di certi equilibri geopolitici.
Secondo me l'atteggiamento più giusto è quello di chi, come me, l'ha votato senza particolari entusiasmi ma con la consapevolezza che fosse giunto il momento di liberarsi della sinistra: guardare cosa farà, lasciarlo lavorare e poi trarne le conseguenze.
Ma la vera domanda è: perché Milei è così popolare fuori dall'Argentina ed è diventato un feticcio di molti liberali? Perché è la risposta, se si vuole anche scomposta, ma umanamente comprensibile, agli aneliti di libertà di un ceto medio che si è stancato di essere la vacca da mungere, contro la statolatria che ci impone di adorare uno Stato che chiede sempre più e dà sempre meno e che, inevitabilmente, scatena insofferenze.
La vera sfida del presidente argentino, che è quella poi di tutti coloro che pur consci dei limiti dell'ideologia liberale, delle sue connivenze con un sistema americano ormai decotto, tuttavia non rinunciano all'idea che la libera iniziativa sia ancora un tema attuale, sarà quella di sposare le idee liberali con un pizzico di conservatorismo etico e con una temperata attenzione alle esigenze dei più deboli.
Perché se è vero che il socialismo finisce quando finiscono i soldi degli altri, ricomincia quando a finire sono i propri soldi. Il socialismo non è una malattia che nasce dal nulla. Arriva sempre quando uno Stato fallisce nell'assicurare il benessere a tutti.
Mi chiamo Marina Ricciardi e sono un'italiana, nata a Genova oltre quarant'anni fa, che vive, sin da ragazza, a Buenos Aires.
Questa potrebbe sembrare un'inutile presentazione ma non lo è perché, in primo luogo, essendo ormai da oltre vent'anni ben radicata in questo meraviglioso e complesso paese, posso dire di averne un punto di osservazione privilegiato rispetto a chi ne ha soltanto sentito parlare. Poi perché proprio il fatto di essere italiana, di non aver dimenticato le mie origini e nel contempo di vivere e lavorare lì, mi permette di poter guardare le cose facendo collegamenti tra la mia realtà nativa e quella adottiva.
E infine (ed è la ragione per cui ho sempre apprezzato il fondatore di questo progetto che ha idee molto radicate nel liberalismo ma non le esprime mai in maniera scontata e banale) pur essendo di orientamento e formazione liberali, non mi sono mai voluta appiattire pavlovianamente nei dettami dell'atlantismo, attorno al quale, erroneamente, commettiamo l'errore di associare in automatico ogni idea liberale. Sono una liberale ma non necessariamente un'atlantista.
Fatta la presentazione, vado al punto:
chi è Javier Milei? Perché la sua fama ha valicato i confini nazionali argentini per diventare un punto di riferimento per i liberali? Perché non è tutto oro quello che riluce? Alla domanda "Chi è Javier Milei?", si risponde con una rapida biografia del personaggio. La migliore è quella che potete trovare qui su Amazon: https://amzn.to/3OwWmfU che vi consiglio caldamente perché scritta da Leonardo Facco, uno che del fenomeno Milei sa tutto.
Nell'attesa, se vi accontentate di un rapido sunto, dico questo: Milei, al netto dei suoi successi, è un fior di cervellone. E' diventato famoso grazie ad uno stile che a molti sembra berlusconiano e che invece ricorda, con maggiore credibilità per fortuna, quello di Oscar Giannino. Infatti, di Berlusconi ha lo stile informale, autoreferenziale e la competenza indiscussa che il Cavaliere, perlomeno come imprenditore e conoscitore della complessa macchina relazionale di privato e pubblico, possedeva. Mentre del fondatore di Fermare il Declino ha una certa eccentricità e l'indiscussa competenza teorica (che in Milei, a differenza del suo omologo italiano, è suffragata da un cursus universitario tutt'altro che di poco conto). Inoltre, l'attuale presidente argentino giunge in un momento molto particolare della storia dell'umanità, che ha visto emergere tutto il peggio dello statalismo in tutto il mondo con la buriana covid, che in Argentina ha paralizzato un paese che avrebbe tutte le possibilità per essere un gigante economico ed è invece un paese oberato da problemi storici e strutturali molto simili a quelli italiani. Dove il socialista propone spesa pubblica, freni all'iniziativa privata, dirigismo, Milei arriva con la sua motosega e si propone di tagliare i rami dello stato, nell'idea che il governo non è la risoluzione dei problemi ma esso stesso il problema.
Fin qui nulla di nuovo per chi conosce le idee liberiste. Ma quello che è il punto di forza, rischia di essere anche il limite dell'azione dell'attuale presidente argentino.
Infatti, alcuni nodi dell'azione politica ricordano purtroppo un deja vu tipico di molti liberali. In primo luogo, a non convincere sono le sue proposte di ri-legare la moneta argentina al dollaro americano, circostanza che ha provocato il famoso crack argentino che molti ricordano e soprattutto un certo appiattimento agli interessi americani, in politica estera.
Questo, di per sé, non è motivo pregiudiziale, intanto perché Milei è un solido trumpiano, ed è sempre meglio di essere clintoniani oppure obamiani, e poi perché la storia è piena di leader politici che sembravano funzionali agli interessi americani (Erdogan, Putin, Craxi) e poi finiti per ribellarvisi, spesso pagando salatissimi prezzi. Tuttavia l'atlantismo di Milei è un particolare che non va trascurato, soprattutto in una fase storica di ridisegnamento di certi equilibri geopolitici.
Secondo me l'atteggiamento più giusto è quello di chi, come me, l'ha votato senza particolari entusiasmi ma con la consapevolezza che fosse giunto il momento di liberarsi della sinistra: guardare cosa farà, lasciarlo lavorare e poi trarne le conseguenze.
Ma la vera domanda è: perché Milei è così popolare fuori dall'Argentina ed è diventato un feticcio di molti liberali? Perché è la risposta, se si vuole anche scomposta, ma umanamente comprensibile, agli aneliti di libertà di un ceto medio che si è stancato di essere la vacca da mungere, contro la statolatria che ci impone di adorare uno Stato che chiede sempre più e dà sempre meno e che, inevitabilmente, scatena insofferenze.
La vera sfida del presidente argentino, che è quella poi di tutti coloro che pur consci dei limiti dell'ideologia liberale, delle sue connivenze con un sistema americano ormai decotto, tuttavia non rinunciano all'idea che la libera iniziativa sia ancora un tema attuale, sarà quella di sposare le idee liberali con un pizzico di conservatorismo etico e con una temperata attenzione alle esigenze dei più deboli.
Perché se è vero che il socialismo finisce quando finiscono i soldi degli altri, ricomincia quando a finire sono i propri soldi. Il socialismo non è una malattia che nasce dal nulla. Arriva sempre quando uno Stato fallisce nell'assicurare il benessere a tutti.