Il contrasto che salta all'occhio non è tanto quello col successore, ma col predecessore, quel Giovanni Paolo II del quale fu la mente. Il contrasto è reso ancora più stridente ora, nell'estremo commiato.
Il pontificato wojtyliano fu apparentemente trionfale, col raggiungimento di un obiettivo "ch'era follia sperar": la sconfitta del comunismo sovietico. E anche i funerali, celebrati proprio da Ratzinger, furono un trionfo: pellegrini da tutto il mondo, la più grande riunione mondiale di Capi di Stato mai vista, gli striscioni "Santo subito".
Benedetto pare aver fallito in tutto. Se Wojtyła aveva combattuto e vinto la battaglia contro il materialismo dogmatico marxista, Ratzinger aveva fallito la sua battaglia contro il nuovo materialismo "senza ideologia". Consapevole di questo, si era rifugiato nel suo Getsemani, mentre il roccioso polacco aveva mostrato i segni della sua Passione in mondovisione. Persino l'imbalsamazione della salma mostra questo contrasto: perfetta nel caso di Giovanni Paolo, eseguita male in quello di Benedetto che mostra un volto quasi già ridotto a teschio cui sommiamo la quasi irridente presenza dell'albero di Natale nella camera ardente. E sappiamo che anche i funerali saranno in tono minore.
Eppure...
Benedetto poteva "far la fine" di Paolo VI, altra tormentata figura di papa intellettuale dimenticato in quanto schiacciato tra le possenti figure del predecessore Giovanni e dei due Giovanni Paolo successivi (persino Luciani è più citato e amato di Montini). Invece in questi anni si è parlato tantissimo di Benedetto. Addirittura è la memoria di Giovanni Paolo II che pare non dico evaporata, ma di certo molto sbiadita, rispetto a quella del più dimesso e meno carismatico successore. Quando morì, Giovanni Paolo era un intoccabile, mentre la stampa si accaniva contro Benedetto. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una svalutazione del pontificato wojtyliano e ad una rivalutazione di quello ratzingeriano anche da parte di chi ne era stato feroce detrattore (un nome su tutti, quello di Odifreddi).
Ma questo paradosso non deve stupire: il Cristianesimo è fondato sul paradosso di un predicatore fallito e marginale, morto tra le beffe dei carnefici della morte più atroce e infamante di quei tempi e sepolto in una tomba di fortuna diventato poi Dio per due miliardi di persone nel mondo.
In questo la parabola di Ratzinger è stata una perfetta "imitatio Christi". Più ha cercato di nascondersi e più è stato insultato, più ha conquistato persone.
Noi non sappiamo quale sarà il futuro del Cristianesimo, in declino in Occidente ma in espansione in Africa, Russia e Asia. Non abbiamo la sfera di cristallo e sappiamo che i futurologi sbagliano perché i trend sui quali basano le loro previsioni a lungo termine spesso mutano. Ma sappiamo che il seme disprezzato di Benedetto di certo porterà più frutto non solo di quello di Bergoglio (che, lui sì, si può dire che abbia fallito) ma persino di quello di Giovanni Paolo II, gigante della Storia in senso umano e "politico", ma la cui eredità spirituale alla lunga si è rivelata meno profonda di quella del timido professore bavarese.
Il pontificato wojtyliano fu apparentemente trionfale, col raggiungimento di un obiettivo "ch'era follia sperar": la sconfitta del comunismo sovietico. E anche i funerali, celebrati proprio da Ratzinger, furono un trionfo: pellegrini da tutto il mondo, la più grande riunione mondiale di Capi di Stato mai vista, gli striscioni "Santo subito".
Benedetto pare aver fallito in tutto. Se Wojtyła aveva combattuto e vinto la battaglia contro il materialismo dogmatico marxista, Ratzinger aveva fallito la sua battaglia contro il nuovo materialismo "senza ideologia". Consapevole di questo, si era rifugiato nel suo Getsemani, mentre il roccioso polacco aveva mostrato i segni della sua Passione in mondovisione. Persino l'imbalsamazione della salma mostra questo contrasto: perfetta nel caso di Giovanni Paolo, eseguita male in quello di Benedetto che mostra un volto quasi già ridotto a teschio cui sommiamo la quasi irridente presenza dell'albero di Natale nella camera ardente. E sappiamo che anche i funerali saranno in tono minore.
Eppure...
Benedetto poteva "far la fine" di Paolo VI, altra tormentata figura di papa intellettuale dimenticato in quanto schiacciato tra le possenti figure del predecessore Giovanni e dei due Giovanni Paolo successivi (persino Luciani è più citato e amato di Montini). Invece in questi anni si è parlato tantissimo di Benedetto. Addirittura è la memoria di Giovanni Paolo II che pare non dico evaporata, ma di certo molto sbiadita, rispetto a quella del più dimesso e meno carismatico successore. Quando morì, Giovanni Paolo era un intoccabile, mentre la stampa si accaniva contro Benedetto. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una svalutazione del pontificato wojtyliano e ad una rivalutazione di quello ratzingeriano anche da parte di chi ne era stato feroce detrattore (un nome su tutti, quello di Odifreddi).
Ma questo paradosso non deve stupire: il Cristianesimo è fondato sul paradosso di un predicatore fallito e marginale, morto tra le beffe dei carnefici della morte più atroce e infamante di quei tempi e sepolto in una tomba di fortuna diventato poi Dio per due miliardi di persone nel mondo.
In questo la parabola di Ratzinger è stata una perfetta "imitatio Christi". Più ha cercato di nascondersi e più è stato insultato, più ha conquistato persone.
Noi non sappiamo quale sarà il futuro del Cristianesimo, in declino in Occidente ma in espansione in Africa, Russia e Asia. Non abbiamo la sfera di cristallo e sappiamo che i futurologi sbagliano perché i trend sui quali basano le loro previsioni a lungo termine spesso mutano. Ma sappiamo che il seme disprezzato di Benedetto di certo porterà più frutto non solo di quello di Bergoglio (che, lui sì, si può dire che abbia fallito) ma persino di quello di Giovanni Paolo II, gigante della Storia in senso umano e "politico", ma la cui eredità spirituale alla lunga si è rivelata meno profonda di quella del timido professore bavarese.